23 febbraio 2017

"Il mastro, il sigaro, la sedia" di Giuseppe Calabretta



di Rossana Giorgi Consorti

Già il titolo ci incuriosisce: "Il mastro, il sigaro, la sedia". 
Tre elementi che la bravura narrativa di Calabretta trasforma in treimmagini apparentemente svincolate tra loro ma che attraverso le pagine di questo bel romanzo si rivelano essere di fondamentale importanza per la maturazione di Vincenzo, il protagonista.

L'autore ce lo spiega lentamente, mentre ci coinvolge nella storia di una famiglia calabrese che vive per la maggior parte nel secolo scorso in un paesino immaginario, Vela, situato tra il mare, di cui si sente il profumo e la montagna, Serra San Bruno, l'Aspromonte.  Una famiglia formata da gente comune, che vive del proprio lavoro ma che possiede, profondo, il senso della dignità, del rispetto, del dovere e dell'altruismo.

Una famiglia composta per vari motivi al femminile, da donne che
uguagliano gli uomini in quanto a forza fisica e che li superano per
la forza del carattere. Donne di passione di cui però non sono vittime
bensì arbitre consapevoli. Vittime sono, semmai, del destino avverso,
sul quale tuttavia non piangono, del quale non si lamentano, perché
disposte comunque a lottare. Ci viene in mente Nedda o altre eroine
verghiane nel leggere le pagine dedicate a zia Vittoria, a nonna
Antò...

Su tutto il filo della storia, della politica, trattata da Calabretta
in modo pacato e obiettivo: il fascismo, la guerra, i lati oscuri
della liberazione. E i personaggi osservano pensosi, dubbiosi, il
cambiamento della società, senza perdere la fede nel vicino di casa o
nel mastro, che tanto ha insegnato ai giovani.

Intanto le Parche filano e inesorabili dipanano il gomitolo.
Vincenzo, alla soglia dei suoi cento anni, cederà il passo da uomo
saggio e giusto come da uomo saggio e giusto ha sempre vissuto.

Beppe Calabretta. Il mastro, il sigaro, la sedia. Tra le righe libri.

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