15 luglio 2016

"Lettera a Walter Benjamin sull'opera d'arte al tempo della sua riproducibilità selfica" di Davide Pugnana




Egregio Professor Benjamin,
                                      mi rivolgo a Lei con parole molto semplici e, spero, abbastanza fedeli alla situazione in atto. Sono certo che desidera sapere cosa sta accadendo oggi, ottant'anni dopo la comparsa del Suo saggio più famoso e citato: "L'opera d'arte al tempo della sua riproducibilità tecnica". 
Tutto quaggiù è profondamente mutato. Dicono sia il portato del nuovo Millennio e delle nuove generazioni. Il Suo saggio? Vuole saperLo? È ormai addomesticato dall'uso e il titolo viene sbandierato come uno slogan-filastrocca da chi procede in rivolta contro l'esagerazione consumistica del mondo moderno. Lei salutava come una minaccia la scomparsa dell'unicità estetica e materiale dell'opera d'arte in mano alle nuove tecniche della fotografia e del cinema in bianco e nero. Altra epoca. Lei, se mi permette, è ancora un uomo della galassia Gutenberg: parla di libri, di viaggi, di silografie; ma in poco più di tre generazioni (non ci separa nemmeno un secolo!) è passata la nuova rivoluzione copernicana: la Galassia Internet e, con essa, la nuova comunicazione virtuale. 
Al Suo tempo l'opera dell'arte era il Mondo: una finestra dalla quale poter cogliere tutto o molto dell'esistenza umana. La "finzione" artistica era una forma di conoscenza che apriva la via della verità, come l'angelo di Klee che Lei meravigliosamente descrive. Il modo della fruizione e circolazione delle opere d'arte era molto più dilatato; la loro riproduzione , per usare le Sue parole, era frutto o di amore, o di studio o di guadagno - tre forme sane di dialogo culturale col passato e colme di senso. Mi fa tenerezza la Sua paura del linguaggio artistico in mano alla dittatura dei Totalitarismi. Pensava che, in mano alla Storia, valori quali il genio, la fantasia, la creatività, il valore eterno, il mistero potessero sprigionare la loro potenza in maniera disumana. 
Se mi permette, Lei era un romantico e un umanista: un connubio che oggi non ha più valore ed è anzi oggetto di berlina. Non aveva previsto che la 'disumanizzazione' potesse avere origine dalla società di massa, anzi dalla Società dello Spettacolo come scrisse un Suo ammiratore, Guy Debord. Mi duole darLe questa notizia dello stato della fruizione dell'opera d'arte. I suoi nodi portanti - arte e tecnica; autentico/falso; estetizzazione della politica - si sono sciolti in direzione digitale. Oggi, Sa, si "riproduce" l'opera d'arte per non produrre nessun senso, nessuno scatto di conoscenza, nessuna interpretazione. Siamo al di là della scomparsa dell' "aura": il cinema gioca a trasformare le opere in filmati di animazione o a costruire mostre-Luna Park con opere assenti; mentre il clic meccanico dello scatto, incluso in piccole e sottili scatole portatili, isola frammenti nei quali non tanto ritroviamo il "ritorno del morto" (la definizione è di un altro Suo ammiratore: Roland Barthes), quella melanconia fissata che seduce e fa meditare, quanto il Ritorno del Banale. 
So che stenta a comprendere questo quadro. La diffusione dell'opera d'arte a livello di massa - Suo tema portante - è sfociata nell'autoscatto: si entra nella mostra o nel museo, nella chiesa o nel palazzo, non tanto per vedere e capire quanto si ha davanti, ma per far sapere che si è lì; per informare che l'ego è in presenza di un capolavoro. Lei avrebbe usato un taccuino, lo so. O meglio: il "selfie" si aziona per creare un Evento non interiore ma esteriore e mondano, e per il quale l'opera retrocede a far da sfondo al corpo. In questa forma di "riproducibilità" l'opera d'arte diventa glossa di commento al narcisismo del selfista. L'esperienza dell'aura, come qualcosa di sacro e separato dal rumore del noto, è stata sostituita dal protagonismo del fruitore che diventa il punto focale della visione: unico e vero soggetto di una rappresentazione costruita tra obiettivo meccanico e opera d'arte storica, ridotta a mera tappezzeria decorativa della posa plastica.
 
Stenta a crederMi e La capisco professor Benjamin. Tutto questo rende antico e nobile il Suo sdegno e il Suo lessico. Ogni confine tra autentico e falso è ormai caduto. Siamo oltre la sparizione dell'aura. Ciò che ha valore nell'attuale fruizione dell'opera d'arte è un nuovo "hic et nunc": il Ritorno dell'Apparire Narcisistico come Evento puramente autocelebrativo e massmediatico. Non aveva previsto questo destino della fotografia, vero? Ma non voglio turbarLa oltre. Mi rimetto alle Sue parole, quanto mai contemporanee: "Il pubblico è un esaminatore, ma un esaminatore distratto". Allego alla lettera qualche "selfie" con opera d'arte a sponda visiva delle mie parole.
Cordialmente,
Suo Davide

Sulla lettera

 
Manuel Casella Una risposta degna di nota direi... riassunto impeccabile delle recenti ed amare registrazioni vocali.

Davide Pugnana Amare, ma realistiche...ma come mai, secondo te, questo silenzio intorno a questo fenomeno?  Se aspettavo Montanari...allora ho fatto un po' come avrebbe fatto lui. Mi sembra strano che questo fenomeno di massa, in costante crescita, non richiami l'attenzione degli studiosi o dei sociologi. Nemmeno sul web si trova qualcosa in proposito se non generalissimo. Allo stesso modo, sulle mostre in digitale nessuna voce si è levata.

Virginia Yves Comoletti Ah già ma da Montanari... silenzio?

Davide Pugnana Silenzio...la speranza è che almeno lo abbia letto.

Giorgia Yves Balestrino E' affezione, puro sentimento, sentirsi un tutt'uno con l'oggetto studiato, capito e amato. Ma da fuori come appare, se non nello stesso identico modo con cui si guarda e giudica un selfie scattato per mero narcisismo del protagonista? E' un po' come se uno studente in odontoiatria si immortalasse alle spalle con una dentiera sorridente?

Manuel Casella Io, Giorgia, sono estremante avverso alle foto con le opere.. per farmene una, in quel di Londra, davanti al mio caro Fuseli c'è voluta tutta la tua persuasione e non dire di no

 Giorgia Yves Balestrino Ma come ho scritto, per chi studia e comprende e apprezza, la foto con l'opera risulta essere come una sorta di foto con l'amato, non credete?

Davide Pugnana Sapevo che la foto del mio profilo sarebbe stato l'offerta del fianco e infatti attendevo... Potevo toglierla prima di scrivere il pezzo, per risultare coerente; ma l'ho lasciata perché non rinnego il passato, l'ora, il giorno e l'occasione di quella foto, che mi sono cari. Era il 2014. Ora ho iniziato a vedere la cosa in maniera diversa e a rifletterci sopra. Questo pezzo non è intende colpire nessuno, ma denunciare una tendenza.


Giorgia Yves Balestrino Nemmeno io voglio colpire nessuno, quindi te semplicemente dici di aver cambiato idea. Io, nella tua foto (e non nei selfie scattati da chi guarda tutto ma non vede niente), non ci trovo nulla di male... è come se un artista si facesse un autoritratto mentre dipinge, no? Solo che sono cambiati i mezzi e i tempi..

Virginia Yves Comoletti Davi… perché ho condiviso quel momento con te e perché condivido il tuo amore per l’arte, non poteva esserci commento più terribile. Che significa colpevolizzarsi e rinnegare, rinnegare cosa –l’amato?: non posso sentire queste cose uscire dal mio Arcangeli preferito. La questione non può sfuggire di mano: nel demonizzare una tendenza aberrante si deve comunque evitare di invasare sotto campane dorate i prodotti del passato. Nemmeno posso condividere il rifiuto totalmente –a/storicistico e aprioristico- dello scattarsi una foto accanto a un dipinto. A-storico, perché siamo tutti pronti a difendere lo storicismo quando si tratta di analisi lucida e rigorosa di un’opera, ma facciamo poi gli a-storici –reverenziali nei confronti dei giganti passati- dimenticandoci di prenderci cura del nostro tempo e forse di noi stessi. Io accanto a quel dipinto che amo mi ci metto eccome, mi ci metto per dirgli che io sono in questo tempo e voglio prendermi cura di lui –oggi- con i mezzi e gli strumenti che ho a disposizione. Neanche le opere d’arte si salvano da sole.

Manuel Casella Io sinceramente non ne vedo e sento il bisogno di farmi un selfie con un'opera. Sono semplicemente diversi modi di esternare la propria passione.. io preferisco un foglio e una penna o anche niente. Sta di fatto che qui si giudica piuttosto la tendenza comune e non quella del singolo.. Altrimenti si potrebbe dire, senza cercare tante giustificazioni, che ognuno ha le proprie debolezze e i propri narcisismi

Virginia Yves Comoletti Ma qui non si tratta più del selfie accanto ad un'opera, e neanche del leggervi tendenze narcisistiche a scanso di banalizzare tutta la questione. Quello che intendevo fare del selfie era la metafora delle possibilità di oggi e più precisamente del pensare alla storia dell'arte in relazione al nostro tempo. Ieri con un collega ci si accorgeva quanto -oggi- la letteratura, la poesia, la filosofia, l'arte si esprimano sotto forme incapaci di parlare il nostro tempo e quindi al nostro tempo. Non funzionano più, non hanno più presa diretta sulla realtà, non smettono di celebrare il funerale di ciò che è stato in un tentativo fallito in partenza di emulazione per troppa riverenza nei confronti dell'auctoritas. E con grande rammarico -per due umanisti che ne discutevano- ci si accorgeva che a rappresentare lo spirito del nostro tempo è facebook (soppiantata l'autobiografia alfieriana), internet, le moderne tecnologie. Dato ciò per assunto, (io piango e mi rifugio in versi scritti 100 anni fa eh sia chiaro), ma mi rendo anche conto che bisognerebbe tentare di trarre da ciò, in dialogo con quello che siamo e non con le citazioni di Longhi, del positivo e del creativo. Del NUOVO.

Manuel Casella Nessuno qui si pone contro il NUOVO a priori. Almeno, non io e penso neanche Davide. Quello che si critica è un sintomo, una moda, data dalle tecnologie moderne che, senza un ferreo aggrapparsi al passato, rischiano di trascinare chiunque nella confusione più totale. Il dialogo con il Nuovo ci può stare, anzi ci deve essere. Io personalmente non sono contrario né a Fb, né a Instragram, né ai musei interattivi e alle mostre digitali e chi più ne ha più ne metta, ma insomma.. il rischio di creare confusione, con questi nuovi mezzi, penso sia sempre dietro l'angolo, così come le mode odiose nelle foto che ha postato nel commento Davide. Ripeto, ognuno fa ciò che vuole ed è giusto così.. da chi si fa una foto ricordo, da chi si fa la foto con l'amato/a opera d'arte, da chi ci fa lo scemo.. a chi, invece, non vuol vedere la sua losca figura intralciare un qualcosa di molto più interessante.

Giorgia Yves Balestrino Ma è questo che non capite! Le foto hanno scopi diversi! Scattarsi una foto-ricordo con un'opera che hai studiato per mesi e mesi e che finalmente vedi.. è per dire: Oh che bello, ci sono stata, l'ho vista dal vivo e magari non la rivedrò più per molto tempo. Poi ci sono foto che fai solo all'opera d'arte e poi ce ne sono altre dove magari fai lo scemo, ma hanno tutti piani diversi! Voi non riuscite a scindere questi piani e a saper riconoscere dove finisce l'uno e inizia l'altro. E' come quando vai a Ferrara e ti fai la foto con il Castello Estense, non te la puoi fare perchè oscuri un'opera architettonica di cotanto livello? Boh, a me sembra di parlare sul niente.. Un conto sono i turisti che non capiscono una cippa di quello che stanno vedendo e magari si scattano foto con la Venere di Botticelli solo perchè è famosi.. ma NON potete pormi le foto che si fanno gli storici dell'arte sullo stesso piano .

Virginia Yves Comoletti Ed è il ferreo aggrapparsi al passato che può rovinare il futuro... soprattutto quando il passato non è più attuale.


Giorgia Yves Balestrino Manuel Casella Io quando ho visto finalmente Fragonard alla Wallace sono rimasta in contemplazione un'ora e poi ti ho chiesto di farmi la foto (che tra le altre cose me le hai fatte tutte sfocate hahaha), adesso ho quella benedettissima foto appiccicata sul muro a coronare un momento bellissimo della mia vita in cui io e Lei eravamo insieme.
Davide Pugnana Ragazzi, qui non è in gioco nessuna dialettica antico/nuovo, né si vuole demonizzare il contemporaneo e i suoi mezzi. Ho scritto questa pseudo - lettera perché il concetto di Benjamin mi offriva la possibilità di una categoria di senso (la "riproducibilità selfica") per nominare il fenomeno in crescita dell'autorappresentazione narcisistica attraverso lo scatto. Come vedete, ogni museo adotta questa strategia : la giornata del "selfie" al museo è ormai realtà consolidata. Altro livello sono le dinamiche di comunicazione museale attraverso app, le cose non vanno confuse. L'intento della lettera e la sua vis polemica hanno sollevato la discussione dirottandola nel caso personale ed è giusto perché ci siamo immersi, perché ne facciamo esperienza, perché ci riguarda. È chiaro che in una paginetta non potevo sfumare l'intera tastiera fenomenologica, scavare in ogni "selfie" individuale e andare a toccarne le intenzioni latenti (omaggio, sentimento, riconoscenza, atto d'amore ecc), per questo ci vorrebbe un saggio a sé. A me interessa bucare la bolla di silenzio che ostinatamente fa spessore attorno a questi fenomeni pop, dalle mostre in digitale al Rembrandt in 3d fino al selfie come intrusione banale del corpo che scherma l'opera o ne mima la posa delle figure, o l'animazione cretina dei vari "Loving Vincent". Continuerò a criticare duramente e a gamba tesa questi fenomeni di betise humain. Chi ne parla? Nessuno. Ci si fa andare bene tutto, a partire dal duro pregiudizio sull'arte contemporanea che non ha più niente da dire. La lettera corre sul cerchio e guarda il centro da lontano. Con Manuel ne abbiamo parlato a lungo e siamo d'accordo sulla difesa degli strumenti di metodo e di comunicazione, anche divulgativi, per portare l'arte al grande pubblico. Ma queste sono strategie serie di dialogo che trascendono il dato individuale.


Virginia Yves Comoletti Ma secondo me qui tutti condividiamo la stessa posizione ( di belfie è sempre meglio) Cioè siamo tutti d'accordo a condannare una moda- tendenza aberrante. Semplicemente quello su cui puntavo l' attenzione (andando oltre volontariamente al contenuto della lettera, senza voler fare dell autobiografismo e dirottandomi verso l origine del fenomeno )è appunto come e perché una tale tendenza ha oggi ragione di esistere. E la risposta che ho dato ci fa figli del nostro tempo. In questo senso la condanna penso vada riletta. Non giustificata, ma assunta come il prius di un posteriius che in termini di divulgazione ma anche della funzione che l Arte stessa oggi assume può fare la differenza.



 Davide Pugnana Però attenzione al termine "condanna". Qui siamo a che fare con un eccesso di teatralità e di ego che, insieme ad altre forme, sta invadendo uno spazio come il museo. Mi spiego. In pochissimi staranno un'ora di fronte a Fragonard e chiederanno una foto che sia il piccone ficcato sul cranio di un Everest scalato per mesi e finalmente conquistato. I più passano, riconoscono l'opera stranota (vedi la cantante agli Uffizi che fa la smorfia davanti a Botticelli) e, senza guardarla davvero, le girano le spalle per scattare un selfie nel quale ciò che conta è la propria presenza in quel luogo da postare subito sui social. Sono circa 30 secondi ad opera, poi si gira sala e via con la prossima. Alla fine, che cosa rimane? È questa povertà o esperienza estetica mancata che mi indigna. I dieci euro di biglietto spendili diversamente! Il museo è un luogo dove si sta a guardare e ci si dimentica dell'esigenza di esteriorizzare su un diario pubblico un momento che dovrebbe far parte dello spirito. Ragionare così è fuori moda? La questione "divulgazione" nei musei è cosa a sé rispetto al selfie, che non divulga interpretando, ma riproduce ri-specchiando l'ego del visitatore distratto. Questo è il punto. Quei 30 secondi di scatto sono sottratti alla visione vera che viene mancata. Non si rinnega il proprio tempo e la sue forme, ma visto che queste forme serie di divulgazione ci sono perché legittimare una pratica autoreferenziale?

Giorgia Yves Balestrino Comunque sia, io condannerei molto di più chi crea mostre digitali prive di contenuto (che appunto sono ideate da esperti del settore) piuttosto che il visitatore ignorate che si mette a fare le smorfie davanti alla Gioconda. Almeno il visitatore ignorante dentro al museo è entrato, chissà mai se, oltre alla foto stupida, non gli sia rimasto anche altro? Se è vero che "l'arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati" ..non è altrettanto vero che "l'arte è un incontro dal quale difficilmente si esce illesi"?
Purtroppo oggi è così: si guarda tutto e non si vede niente, ma proviamo noi, storici del domani, a far avvicinare le masse in modo intelligente, no? Se oggi è addirittura necessario attirare la gente con l'espediente del selfie (perchè il livello si è abbassato come non mai prima) perchè non farlo? Bene, ti sei fatto la foto? Adesso "ti prendo per mano" e ti faccio vedere ciò che tu, senza un obiettivo, non vedi. Il problema ormai esiste, Volente o nolente la realtà è questa: cerchiamo di trovare una soluzione invece di condannare e basta.. non credete?

Davide Pugnana Speriamo che ci sia questo scatto in avanti nella fruizione. Io non potrei che esserne felice. Per quanto riguarda le mostre digitali, il loro successo è dato dal consenso del pubblico che foraggia queste macchine messe in piedi per far soldi e pubblicità. Se non ci andasse nessuno, finirebbero dopo qualche tentativo. In questo senso, libri di Montanari strappano il velo e ti fanno vedere cosa c'è dietro musei e mostre. Ti rendi conto che c'è tutto quanto ha prodotto e sta producendo la mentalità manageriale e la filosofia del "business".

Giorgia Yves Balestrino Esatto, questo sistema lo hanno creato e ora siamo noi a dover combattere contro i "fenomeni del niente", ma ciò che propongo io è: visto che per la prima volta si è trovato un modo per rendere interessante qualcosa di non intuitivo, che ai più può anche apparire pedante, perché non sfruttarlo in senso positivo? Appropriamoci di questi mezzi che, come hai visto, funzionano e utilizziamoli per creare qualcosa di buono.

Jacopo Suggi Caro Davide, hai toccato un argomento scottante che ovviamente non interessa solo il mondo dell'arte, ma come ormai la società si approccia ad ogni cosa. Evidente che la tendenza selfica non è altro che un prodotto di una società massificata che è abituata ad approcciarsi ad ogni cosa come lo si fa con i prodotti di consumo. La necessità di condividere con il maggior numero di persone la propria posizione, di far sapere a tutti cosa si sta guardando e dove, non avvertire più il bisogno spirituale di solitudine, e ancora, l'ossessione di dover vedere, fare, provare ciò che la società reputa indispensabile non sono che l'ultima derivazione di questo modello consumistico reso possibile dalle nuove implementazioni tecniche, ma risultato di un percorso iniziato ormai da anni (basti l'esempio dell'immancabile foto del turista a spasso nelle capitali davanti ai bar Hard Rock, magari senza neppure fare lo sforzo di entrarci). Il motivo poi per cui ti interroghi su questa penuria di riflessioni sul tale attualissimo tema è da imputarsi a una sorta di distaccamento/isolamento, che colpisce in maniera particolare gli storici dell'arte (ma a cui non fanno eccezione molti intellettuali), che evidentemente non son riusciti a tenere il passo con i tempi, a "sporcarsi" le mani con i nuovi usi e costumi, ma che preferiscono il loro idilliaco esilio atemporale. I tempi sono cambiati e gli storici dell'arte dovrebbero in qualche modo accompagnarli.

Manuel Casella Scusate eh.. ok, l'autoscatto, il famoso "selfie", davanti ad un'opera può essere giustificato. Quindi, uno che non se li fa, perché la reputa una cosa inutile e insensata, non è al passo con i tempi ed è rinchiuso nella sua torre d'avorio? Ma stiamo scherzando? L'autoscatto è una pratica INDIVIDUALE che viene fatta dal SINGOLO per vari motivi. Da questa discussione abbiam capito che c'è chi gli piace rivivere quel ricordo perché gli piace vedersi con l'amata opera (come è stato detto) oppure chi, come nelle foto sopra, perché è semplicemente un superficiale come notiamo nei molti esempi di selfie nei musei. Non tutti i selfie son sullo stesso piano dunque, come ha detto Giorgia, ma non mi venite a dire che adesso se uno storico dell'arte non si selfizza (?), non si mette al passo con i tempi... non mi venite a dire che lo storico deve accompagnare la tendenza selfica per guidare i greggi con i cellulari in mano... se si pensa davvero così, poso l'ascia da guerra di questa discussione e magari me la pianto nella giugulare.

Davide Pugnana Come ho scritto in precedenza, la fenomenologia delle intenzioni che muovono il "selfie" in sé sono varie e seguono impulsi e desideri individuali. Jacopo estende , giustamente , questa appendice "selfico-museale" ad un fenomeno di più ampia portata che ha a che fare con un orientamento della società di massa e con i media. A monte, quindi, abbiamo messo la lente di ingrandimento su una propaggine della società del consumo e dello spettacolo. La fotografia ha sempre accompagnato gli studi di tipo visivo: dallo scatto sul dettaglio alla foto come appunto visivo, come frammento di un'intuizione da lasciar sedimentare e rielaborare alla scrivania; oppure come documentazione di uno stato di conservazione o di un allestimento e quant'altro. Foto e museo è un connubio fortunato; così come foto e storico dell'arte. Gli strumenti per la guida museale sono però altri rispetto al selfie "al museo" che, nel suo accadere specifico e in mano ai superficiali, diventa una forma di affermazione borghese di superiorità intellettuale. Non solo il selfie al museo ha il dato spazio/temporale ("Guarda dove sono", "Guarda come impiego il mio tempo"); non solo ha il dato sociale ("Guarda dove sollevo il mio status"); ma anche il dato di appartenenza e di alterità rispetto ad un pubblico che deve ammirare: "Guarda chi frequento: opere, musei, Bello...". So che suona antipatico, ma è la radice psicologica del selfie al museo, e in questa presa di distanza non posso che riallacciarmi alle parole di Manuel e darmi al "Surfi se le onde lo permettono.

Jacopo Suggi Perdonatemi ma non intendevo certamente sostenere che anche lo storico deve cascare nella "minchiata" del selfie. Quello che invece reputo necessario è che lo storico dell'arte smetta di essere incomprensibile e criptico, se l'esigenza è quella di avvicinare sempre più persone alla comprensione e tutela dell'arte in una società sempre più distratta e malinformata anche lo storico dell'arte deve fare la sua parte, impossibile aspettare tempi migliori. La promozione della storia dell'arte non può essere solo difficile, noiosa e settoriale. Se non vengono prestate alternative per approcciarsi alla comprensione dell'arte, non stupiamoci se gli autodidatti si lasciano trasportare dalla massa e vedono l'opera d'arte come un mero feticcio da aggiungere alla collezione degli "ho visto".









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