24 aprile 2016

“I vizi capitali e i nuovi vizi” di Umberto Galimberti


di Gianni Quilici

Un libro che dovrebbero leggere innanzitutto  l’educatore e il politico. 

L’educatore, perché consente di conoscere l’umano, oggi molto più complesso di ieri, perché molto più insinuante e persuasivo è ciò con cui esso entra in contatto.

Il politico, perché questo libro traccia una mutazione antropologica, che richiederebbe una svolta sociale e culturale altrettanto profonda nei meandri in cui una società si articola.


Umberto Galimberti ha raccolto articoli pensati per il quotidiano La Repubblica nel 2002, scritti con  un linguaggio limpido e diretto, rivolti ad un pubblico non specialistico.


Così divide il libro in due parti: i vizi capitali ( i vizi di sempre, di allora e di oggi) e i nuovi vizi. I vizi capitali  sono 7: ira, accidia, invidia, superbia, avarizia, gola, lussuria. Altrettanti sono i nuovi vizi: consumismo, conformismo, spudoratezza, sessomania, sociopatia, diniego, vuoto. Via via che leggevo pensavo a come si potessero racchiudere questi nuovi vizi in un filo comune, e a come si potessero cogliere il nesso o i nessi che legano le varie specificità e di conseguenza quali fossero le novità rispetto ai  vizi di allora.

La risposta è semplice, perché è indicata dallo stesso Galimberti ed è questa:

“ . . . a differenza dei vizi capitali che segnalano una deviazione o, a seconda della tolleranza dei tempi, una caratteristica della personalità, i nuovi vizi ne segnalano il dissolvimento, che tra l’altro non è neppure avvertito, perché investe indiscriminatamente tutti”.


Dissolvimento della personalità. Concetto così sottile che difficilmente un individuo lo   fa suo, cioè lo riconosce. Anzi accade proprio l’inverso. Chi  subisce questo processo è colui che meno di tutti lo sa, perché è colui che è abituato a non ascoltarsi, a non vedersi, che immagina di essere padrone delle sue parole, dei suoi pensieri, dei suoi comportamenti.  


Il rischio di dissolvimento della personalità può essere riconosciuto, almeno parzialmente, da chi questi processi oggettivi li riconosce, ci si confronta e cerca di combatterli pure.

In ogni caso questo processo di dissolvimento si attua in modo morbido e suadente con la piena adesione di chi ne partecipa.


Innanzitutto, come sottolinea Galimberti, perché non è  vizio personale, ma è a tendenza collettiva, che investe, più o meno, (quasi) tutti.


In secondo luogo, e soprattutto, perché i nuovi vizi sono accettati in quanto rispondono a bisogni veri ( di comunicazione e di bellezza, di identità e di sessualità), che però  vengono nevrotizzati, producendo quei “vizi”, analizzati da Galimberti. Alcuni fin troppo rapidi esempi.


C’è un dissolvimento di identità nella perdita di consistenza di cose, che vengono continuamente distrutte e sostituite, perché così vuole l’industria, con una tecnologia che trasforma continuamente gli oggetti stessi, con il concorso ossessivo della pubblicità.


C’è un dissolvimento di identità nella perdita della Memoria, in quanto un sovraccarico di informazione non elaborato riduce e  svaluta e cancella il passato anche quello prossimo, facendo vivere in un eterno presente manipolante.


C’è un dissolvimento della realtà a beneficio dell’apparenza, con la conseguenza che diventa più importante l’immagine virtuale che la realtà sostanziale.


C’è un dissolvimento della sessualità, perché la continua esibizione di essa spegne la possibilità di scoprire e il sesso diventa crudelmente produttività, ripetizione,  professionismo.


C’è un dissolvimento di identità, perché ciò che viene richiesto è una buona esecuzione, non la responsabilità di uno scopo. La conseguenza: una diffusa omologazione nel considerare questo mondo come l’unico possibile, conservando tuttavia la convinzione e l’illusione di essere liberi.


C’è un’immaturità affettiva, un’apatia morale senza rimorsi o sensi di colpa, che porta a volte a delitti realizzati con freddezza e indifferenza, perché manca un’educazione psicologica, nella scuola, oltre che nella famiglia, capace di elaborare i conflitti, di conoscere e controllare i propri impulsi più sotterranei.


Esiste un’alternativa a questo processo di spersonalizzazione e di omologazione conformistica? Galimberti non  affronta questo interrogativo; non era, infatti, il compito che gli articoli si prefiggevano, anche se ragiona su questi processi come se non avessero nessuna dialettica, come se fossero inevitabilmente destinati a chiudere qualsiasi scenario diverso.


Quasi sicuramente sarà così. La forza della tecnologia e del potere che questa tecnologia utilizza è enorme e sproporzionata rispetto a chi ha compreso ( e agisce)  per ciò che si potrebbe chiamare con una parola consumata “alternativa”. Alternativa come nuovo modello di sviluppo economico e sociale, culturale e antropologico contro la tendenza dominante di una catastrofe planetaria, preannunciata da tempo da scienziati, pensatori e artisti e che entra in connessione con altre voci: guerre nucleari e disastri ambientali.



Umberto Galimberti. I vizi capitali e i nuovi vizi. Feltrinelli.  

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