04 febbraio 2016

"Un filo spinato lungo centocinquant'anni" di Luciano Luciani



                                                             



Uno spettro si aggira per l'Europa
                   
                        Uno spettro  torna ad aggirarsi per l'Europa: il filo spinato. Dopo aver tragicamente connotato le trincee e i campi di battaglia del primo conflitto mondiale e i luoghi della detenzione di massa e dello stermino  del secondo, il filo spinato riappare nella civile Europa invocato sia da politici xenofobi, sia da opinioni pubbliche sempre alla ricerca di capri espiatori su cui scaricare le proprie paure. E pensare che era nato come strumento, poco costoso e semplice da impiantare, utile al contenimento del bestiame brado e a protezione delle coltivazioni: un ruolo importante, quello del filo di metallo munito di spine, nel passaggio da un economia fondata sull'allevamento del bestiame a una basata sull'agricoltura.

Dalla pace alla guerra
La sua invenzione, o, per essere più precisi, il brevetto di tale semplicissimo dispositivo, risale agli anni settanta del XIX secolo ed è ascrivibile all'intelligenza pratica, appunto di un agricoltore dell'Illinois, tal Joseph Glidden. La sanguinosa Guerra civile americana (1861-1865) ne aveva, però, già scoperto la convenienza militare, cambiandone radicalmente segno e senso: da protezione di allevamenti e possedimenti ai campi di battaglia e ai luoghi della detenzione coatta. Così, conobbe le gioie del filo spinato la popolazione cubana, imprigionata per volontà del governatore spagnolo Valeriano Wayler negli anni immediatamente precedenti la guerra ispano-americana (1898); anche gli inglesi, in quegli anni al punto più alto della loro espansione imperialistica, non disdegnarono il filo spinato e lo introdussero in Africa nel corso della guerra anglo-boera (1899-1902) intrapresa contro i coloni sudafricani di origine olandese delle repubbliche del Transvaal e dell'Orange che non avevano certo accettato passivamente le pretese britanniche di impadronirsi delle loro ricchezze aurifere e diamantifere e si difendevano con abilità e audacia ottenendo non pochi significativi successi sul campo. Allora, l'esercito di Sua Maestà fece ricorso al filo spinato: prima per proteggere le linee ferroviarie più importanti dagli assalti della guerriglia, poi per creare immensi campi di concentramento in cui  imprigionare i soldati catturati e le famiglie boere.

I "cavalli di Frisia"
Al filo spinato fecero ricorso in maniera massiccia, alcuni decenni più tardi, tutti gli eserciti che si batterono nella Grande Guerra. La lunghissima trincea che per quattro anni spezzò in due l’intero continente europeo fu, infatti, consolidata da sbarramenti di reticolati di filo spinato, detti “cavalli di Frisia”, che contribuirono in maniera decisiva a trasformare il primo conflitto mondiale in una micidiale guerra di posizione con milioni di uomini costretti a vivere in condizioni durissime, esposti non solo ai pericoli bellici, ma anche alle intemperie e alle malattie. L’unico modo per avere ragione dei reticolati di filo spinato consisteva nell’aprirvi dei varchi, sotto il fuoco nemico, ricorrendo a pinze e cesoie oppure a esplosivi deposti manualmente. Solo nella ultima fase del conflitto il ricorso all’arma più nuova, il carro armato, segnò il tramonto della trincea, ma non il declino del filo spinato. Installazioni militari di ogni tipo continuarono, infatti, a farne largo uso nel corso della seconda guerra mondiale, ma fu la Germania nazista a intensificarne l'utilizzo per delimitare campi di concentramento e di lavoro. Spesso elettrificando le recinzioni, così da renderle assolutamente impenetrabili: un'idea già messa in pratica nel 1915, quando le truppe del Kaiser fecero passare energia elettrica lungo il filo spinato che separava il Belgio occupato dall'Olanda, provocando più di 2000 morti.

Pungente e tagliente
Oggi, questo congegno, tanto elementare quanto micidiale, capace sia di dissuadere sia di ferire, simbolo della crudeltà dell'uomo sull'uomo nel XX secolo - come ricorda il logo di Amnesty Internationale, la benemerita associazione che dal 1961 si batte contro prigionia e tortura che riproduce una candela accesa avvolta dal filo spinato - torna prepotentemente alla nostra attenzione. Accade a causa dell'iniziativa del premier ungherese Viktor Orbàn - leader del partito xenofobo e anti-immigrati Jobbik, una sorta di Salvini danubiano - di innalzare una recinzione di razor wire o "nastro spinato": una variante moderna e incattivita del  vecchio filo spinato arricchita di rasoi, alta circa 4 metri e lunga 175 chilometri, la lunghezza del confine tra Ungheria e Serbia. La chiamano anche "concertina" questo tipo di filo spinato perché si può allungare a piacimento come una fisarmonica: bobine di nastro spinato, arrotolate e fissate a pali d'acciaio, che in pochissimo tempo si possono facilmente estendere e posizionare al suolo... Obbiettivo di tale muro irto e tagliente rendere ancora più difficile la vita ai disperati in fuga dalla Siria, dall'Irak, dall'Afghanistan che, per raggiungere la Germania e l'Europa del nord, attraversano le aree meridionali del Paese magiaro.
Colpisce che a ricorrere a simili strumenti di contenimento sia un popolo di antica civiltà, quello ungherese, che, in un passato ancora recente, molto ha dovuto soffrire a causa della cosiddetta "cortina di ferro" fatte in gran parte proprio di filo spinato. Tutto il mondo, lo ricordiamo, accolse con gioia la notizia che nel 1989 il ministro degli esteri ungherese e il suo omologo austriaco, con un gesto a forte densità simbolica, avevano tagliato il reticolato ancora steso  fra Austria e Ungheria.
Consola la notizia che l'azienda tedesca Mutanox, specializzata nella realizzazione di recinzioni, a cui il governo ungherese si era rivolto per la messa in opera di un tale lunghissimo incubo di nastri d'acciaio, spine e lame, abbia rifiutato la commessa. "Non vogliamo", hanno dichiarato i rappresentanti della ditta, "contribuire a ferire uomini, donne e bambini che non rappresentano alcune minaccia e non hanno  nessuna responsabilità nelle cause che hanno determinato questa emergenza".


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