01 gennaio 2016

"Le affinità elettive" di Johann Wolfgang Goethe



            L'attualità del classico

 di Angelica Grivel

‘Le  affinità elettive’: titolo esatto, perfetto, esaustivo, ineccepibile. Ed é soltanto l'esordio. La veemenza dello scritto si manifesterà con tanta efficacia nello scorrere delle pagine, meglio se lo si assapora centellinandolo in modo da gustarne le molteplici e celate sfumature di classe.
Una domanda mi suscita immediatamente: come si può affrontare la complessità di Wolfgang Goethe al giorno d’oggi? Come si può aprire questo volume possente e romantico in tale periodo di evoluzione digitale?

La risposta è semplice: Goethe si offre a nuove generazioni di lettori con l’intatta freschezza di un classico che non finisce di stupire e intrigare per la sua modernità. Ecco, quindi, perché il romanzo di Goethe può essere effettivamente chiamato ‘un classico’. Infatti, nonostante sia stato composto tra il 1808 e il 1809, l’opera ha tutti i crismi per essere considerata tale, in quanto ‘è classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona’ (Italo Calvino). Non si tratta, dunque, del tipico romanzo dotato di appeal d’impatto: non è come quelle opere potenti e crudeli che colpiscono il lettore  come una gelida secchiate d'acqua che che inopinatamente t'inzuppa. Essendo io una ragazza di soli quindici anni, non ho la pretesa di voler leggere sottotraccia e voler capire tutte le dinamiche filosofiche erudite della scrittura di tal genio, nonostante sia una lettrice  appassionata e selettiva. Tuttavia, sono figlia del mio tempo. E questo è un libro, sia detto, estremamente sofisticato, 'con una compenetrazione tra concretezza plastica e idea, tra spiritualizzazione e incarnazione, un permearsi reciproco dell'elemento ingenuo e di quello sentimentale, là dove forma l'elemento plastico e quello critico, ciò che forma il poeta e ciò che forma lo scrittore, portano i nomi di sensualità e di moralità, o quelli storici di cristianesimo e di paganesimo.' (Thomas Mann, lui sì che riesce a tradurre il mio pensiero critico!). Durante la lettura di quelle pagine ho però riscontrato una verità universalmente riconosciuta, ed è stata per me un momento di soddisfazione neo conoscitiva, di gioia gnostica:  “Gli uomini pensano più al particolare, al presente, e con ragione, poiché essi sono chiamati a fare, ad agire; le donne pensano più alla catena di conseguenze ond’è intessuta la vita, poiché il destino loro e delle famiglie è legato a questo nesso…”

La trama del romanzo è intricata, affascinante e avvincente: privi di ogni sorta di preoccupazione, il giovane e ricco barone Edoardo e sua moglie Carlotta sono votati alla cura della loro tenuta, della casa, del giardino, e si dedicano alla lettura e alla musica, ma il loro destino è già in agguato, pronto ad irrompere nella quiete della loro esistenza. La coppia, infatti, invita al castello un amico storico di Edoardo, soprannominato ‘il Capitano’, e poi la fragile nipote Ottilia, ed ecco che si scatenano le  cosiddette ‘affinità elettive’. Edoardo s’innamora di Ottilia e Carlotta del Capitano, anche se, mentre Edoardo, capriccioso, viziato, egoista ma anche frivolo e dotto, ambisce solo a realizzare i propri sogni e ad assecondare le sue esigenze e passioni, Carlotta, moderata, riflessiva, attenta e razionale, obbedisce alla ragione, cercando quindi di non farsi travolgere dalla passione. Dal canto suo, il Capitano è assimilabile quasi alla versione maschile di Carlotta: meticoloso, coerente, accorto, giudizioso. Ottilia appare in principio come un frutto richiuso: non è né brillante, né spigliata, né tantomeno loquace, ma per straordinaria metamorfosi, nel castello si rivela comunicativa, intelligente, luminosa e benefica. Tra i quattro personaggi, in magica alchimia, si accendono inarrestabili le affinità elettive, e irrimediabilmente turbano l’esistenza serena sulla scena, e nulla può frenarle, né ragione, né virtù. (‘Le affinità cominciano a diventare interessanti quando producono separazioni’- Edoardo).

E’ coinvolgente e suggestiva soprattutto l’analisi psicologica dei personaggi, così rustici e raffinati in modo antiquato, eppure così nuovi e sempre attuali: Edoardo è egocentrico, un ambizioso incompetente (si cimenta in vari campi concernenti soprattutto la cultura, ma di rado riesce), psicologicamente immaturo; invece, Ottilia è ‘la più dolce figlia della natura che sia uscita dalle mani di un artista’ (Thomas Mann), pura, sensibile, altruista e sempre attenta al prossimo (In assoluto, il mio personaggio prediletto per la sua spietata sensibilità). Carlotta e il Capitano sono due caratteri realisti: agiscono con metodo e ragione, ma sovente in modo errato. In particolare, Carlotta è ‘tra il lusco e il brusco, costantemente piuttosto seccata’, impaziente, iperattiva, desidera cogliere l’attimo senza però pensare alle conseguenze che un suo qualsivoglia gesto avrà sul suo futuro.

La vicenda si svolge in un luogo imprecisato della Germania, in un anno indeterminato del diciottesimo secolo, ed è un bazar di emozioni, infingimenti e meticolose osservazioni intime.
Questo è stato per me un libro ipnotico nel divenire, un susseguirsi di piccole epifanie sul ‘sentire’ umano, ma altresì sulla scrittura perfetta. E’ un libro che parla di vite splendidamente descritte, con una certa perfezione plastica ma che nulla toglie alla credibilità dei personaggi, così dolenti eppure pieni di speranze rinnovate, e dunque affascinanti, capaci di suscitare emozioni e desiderio di emulazione.

Non perdete questa opera, anche se ad una prima lettura potrebbe sembrare ardua, obsoleta e vieta; non riponetelo sullo scaffale, ma affrontatelo con ottimismo e interesse: ne vale la pena.

Johann Wolfgang von Goethe. Le affinità elettive.




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