13 luglio 2015

“Immagini di un’Italia ritrovata” mostra di Henri Cartier-Bresson




di Mimmo Mastrangelo

 Nel 1988   il dottor  Rocco Mazzarone,  si vide  arrivare nella sua casa di  Tricarico  da Parigi due casse contenenti le foto che il suo amico Henri Cartier- Bresson  aveva scattato durante dei viaggi in Basilicata. Quelle istantanee  Mazzarone le  donò poi al comune di Tricarico ed oggi fanno parte del  patrimonio fotografico del locale centro di documentazione dedicato al poeta Rocco Scotellaro.

Tra i  più grandi maestri  della fotografia mondiale e  co-fondatore della prestigiosa agenzia americana Magnum, Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie 1908-Montjustin 2004) passò per la  Basilicata una prima volta nel 1952 e vi ritornò venti anni dopo.  

Ad invogliare il fotografo francese ad attraversare i territori lucani fu, probabilmente  lo scrittore e amico Carlo Levi e, naturalmente,   quella sua illimitata curiosità ad accostare con lo sguardo  i posti più impensabili e nascosti del mondo.

Gli scatti lucani di Bresson sono esposti da oggi  e fino al 16 luglio alla Sala Buzzati della Fondazione del Corriere della Sera  in una mostra curata dal critico d’arte Vincenzo Trione ed inserita nel cartellone  della sedicesima edizione della “Milanesiana”, il contenitore di cinema, teatro, arte, letteratura, danza, scienza  ideato e curato da Elisabetta Sgarbi. 

Il Cartier-Bresson  che scatta in terra di Basilicata non è diverso dal solito Cartier-Bresson spinto nel fermare sulla pellicola  quell’incessante movimento della vita dotato della forza di produrre forme plastiche cariche di emozioni. Lo sguardo del fotografo francese si posa  con naturalezza, senza cercare risultati estetici, su una “terra dell’Italia ritrovata”.

Osservando le foto delle processioni dei piccoli centri,  dei paesaggi lunari dei calanchi e della murgia materana, dell’anziana signora che torna dalla campagna con l’asino, dei bambini e delle donne in costume tradizionale è chiaro ripensare alla Lucania, terra del dolore e dell’arretratezza, conosciuta  dagli studi etno-antropologici realizzati negli anni cinquanta da Ernesto De Martino e Diego Carpitella.

Ma lo sguardo di  Bresson non subisce alcun condizionamento di sorta, già nel viaggio successivo del 1972 svela genti e luoghi  che vanno evolvendosi per lasciarsi  dietro tutto quel corollario di arcaismi. Così il “fotografo-arciere” si fa testimone   dei mutamenti in corso nella società contadina lucana e ferma sulla pellicola le tracce di una società consumistica  che sta  spingendo  per omologare ogni costume e humus culturale.

Henri-Cartier-Bresson anche con i tour in Lucania non intendeva realizzare alcun reportage, piuttosto penetrare nel cuore vivo della gente e dei luoghi, “catturare momenti densi di realtà e tenere insieme delle forme”. Ancora una volta ogni  clic della sua inseparabile Leica è un momento per rubare un’immagine unica, la quale non si limita a far vedere qualcosa, ma consegna sempre una breve trama per pensare.
                                                                

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