30 gennaio 2015

"San Romano. Viaggio nella valle del Serchio" di Gianni Quilici




foto Gianni Quilici
Provo  un senso di stupore quando lasciando la strada veloce e anonima lungo la Valle del Serchio ci si inerpica verso San Romano su una strada invece intima, ma così stretta, che in certi punti è difficile e forse impossibile il passaggio simultaneo di due macchine e forse anche pericolosa, perché in certi tratti sarebbero necessari impianti di protezione. Ma lo stupore più grande nasce dal mutamento improvviso di paesaggio: dalla strada trafficata che s’impone su ogni altro elemento, alla fitta vegetazione di castagni, querce, betulle, che dà un senso immediato di essere dentro un’altra civiltà.

A metà strada, al margine di uno slargo, una casa abbandonata con capanna e un sentiero sulla parte opposta, che scende verso una proprietà privata, chiusa da una catena. Dinnanzi la visione di un paese, forse Cardoso, disteso sulla collina con il campanile in alto racchiuso tra la vegetazione.
 
La stradina sale ancora per poco quando d’improvviso, in uno spiazzo largo, ecco il paese, S. Romano, con un comodo parcheggio.
San Romano, si può leggere su un cartello segnaletico su sfondo giallo, si trova a 447 metri, anticamente era il castello di Spulizano (995) ed è oggi un borgo medievale nascosto  tra il verde sopra la valle del torrente Turrite. Che sia un borgo medievale con le case e palazzi, che si abbracciano, lo sapevo già, avendolo visitato in precedenza due volte, tanto che il desiderio di rivederlo era limitato, in quanto mi sembrava il paese scontato. Invece  è stata una sorpresa. Il tempo muta, muta anche i nostri occhi.
foto Gianni Quilici

Primo scatto: croce su di un piedistallo di un colore nero contro il cielo blu.
Lì vicino ecco l’oratorio di San Rocco del secolo XVII, ma largamente rimaneggiato con il prònao con tettoia e colonne e con il fianco di sassi e calcina e finestre inferriate più simile ad un’abitazione che a un luogo di culto. Alle spalle un delizioso campanile a vela.
Su un lato due panchine adatte ad una sosta contemplativa. Da lì parte la via centrale di pietra, che s’inoltra nel paese.


foto Gianni Quilici
Il campanile s’impone alla vista con un’originale mescolanza tra sacro e profano  con un’ampia terrazza terminale, la campana e  la porta incorniciata di pietra serena. La chiesa adiacente, S. Romano (XVI secolo), che ha dato il nome al paese, ha una piazzetta minuta ma ricca di dettagli: un monumento ai caduti della grande guerra e un roseto, una croce e due alberi insoliti, che partono quasi dalle radici  con innumerevoli rami, un muretto da un lato e una bella cancellata che la rinchiude dall’altro.  

foto Gianni Quilici
La via prosegue con poche biforcazione, qualche bel palazzo, qualche casa ben ristrutturata e case modeste o abbandonate, alcune delle quali rimandano la bellezza della loro autenticità.
Ma forse l’aspetto più architettonicamente poetico risalta in alcuni  sottopassaggi con porte ad arco,  travi di legno e aperture a mo’ di finestra nella parete di pietra.

Alla fine di uno di questi sottopassaggi, il più modesto, la via prosegue in un viottolo che porta verso la collina. Lì un uomo sta lavorando ad un muretto di pietre parzialmente franato. “Lo faccio a secco” mi dice dopo il mio saluto, “perché col cemento si sfigurerebbe tutto”. Davanti c’è la collina fitta di castagni, che nell’aria primaverile di oggi assumono quel bel colore marroncino chiaro che dà un senso di morbidezza. “Tutti quei castagni sono miei” mi dice “li pulisco ogni anno per bene, non voglio che sotto ci nasca una boscaglia di pruni. Quel castagno lassù, quello vecchio e più alto di tutti, lo vedete? E’ enorme, si vede anche da qui, ma vedendolo da vicino è impressionante”.

foto Gianni Quilici
Attraverso un sentiero che passa al lato del paese si ritorna all’oratorio S. Rocco da dove ero partito. Lì sotto, lungo la strada che porta a Motrone, c’è l’ultima insolita sorpresa: un lavatoio con tettoia, che come si può intravedere nell’immagine è notevole nella forma fantasiosamente geometrica, nella pietra, nelle colonne di mattoni.
In un lato l’acqua, che ancora oggi sgorga impetuosa e leggera da dei modesti tubi allora doveva essere inserita,  come si intravede nell’immagine, da una struttura scultorea e doveva formare con un lavatoio brulicante di vita un insieme di grande fascino popolare e forse anche architettonico.

San Romano di Borgo a Mozzano. Domenica 18 gennaio 2015.
   


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