10 gennaio 2015

"Cune". Viaggio nella Valle del Serchio di Gianni Quilici



foto Gianni Quilici

Prima di entrare nel centro storico di Borgo a Mozzano un cartello stradale indica Cune; la strada sale rapidamente, mentre un avviso recita “strada stretta senza parapetti con cigli franosi”. Saranno quasi 5 Km ed ecco apparire a 515 metri circa Cune, in bella posizione panoramica alle pendici del monte Bargiglio, con uno dei due parcheggi proprio all’inizio del paese.

Cune si estende soprattutto in lunghezza con una via principale che attraversa tutto il paese fino a un  sentiero che s’inoltra  sulla montagna. 

La mattina è quasi primaverile, con un sole carezzevole, senza un alito di vento . Una donna anziana che cammina appoggiandosi al bastone mi scruta incuriosita, la mano sugli occhi a pararsi dal sole. “Buongiorno” dico subito, “buongiorno” mi risponde.

foto Gianni Quilici

Qua e là ci sono ancora strisce di neve, che, sciogliendosi, bagna la strada o che gocciola giù dai tetti. La chiesa di  S. Bartolomeo si trova al centro del paese con una piazzetta che si confonde con due vie: la principale e un’altra che porta all’unico sottopassaggio presente nel paese . All’interno della chiesa, leggo, si conservano tele della Scuola del Marracci (sec.XVII), un dipinto su tavola di scuola toscana (sec. XV), un'edicola in marmo (sec. XVI) e una statua policroma in legno di S. Bartolomeo.  Davanti, su un lato, si slancia il campanile merlato con bifore . 




foto Gianni Quilici
E poi palazzi o case ristrutturate  con qualche bel  portale di pietra, case vecchie, case abbandonate, capanne che fanno oggi da ripostiglio, case gialle o arancione, biancastre o grigie, cortili e  marginetta con presepe, forni a legna e terrazza con tettoia eccetera eccetera 

 Il punto di ritrovo sembra essere il circolo Acli con teatrino, dove si organizzano tornei di briscola, cene e qualche spettacolo. Più avanti l’ambulatorio con un giardinetto con altalena, scivolino, panchine, che viene rasato ogni 15 giorni dagli uomini del paese, secondo un calendario esposto pubblicamente.

foto Gianni Quilici
Siedo sulla panchina di legno addossata alla chiesa. Si avvicina, sedendosi, un uomo che mi dirà poi d’avere 88 anni “ben portati” aggiungo io e mi racconta, dopo esserci felicitati entrambi della giornata così piacevole, che quest’anno le olive, che pure facevano piegare i rami da tante che erano, sono marcite per via delle mosche, che anche l’uva viene divorata dai cinghiali e da altre bestiacce, e che le patate vengono mangiate dalle formiche. Una volta, mi dice, questo era un paese di 400 abitanti, c’erano vacche, pecore e asini, che servivano per portà la roba e chi aveva dei terreni li teneva puliti. Ora non pulisce più nessuno, i pruni sono arrivati alle porte del paese, vacche non ce n’è più una. I pochi ragazzi rimasti vanno a scuola giù  a Borgo e chi lavora va nelle fabbriche della Piana. 

Quando scendo di nuovo con la macchina verso Lucca penso una banalità: che se avessi parlato anche con altri: uno dei due ragazzi che ho incontrato o una donna giovanile con aria assorta, la visuale del Paese  si sarebbe allargata ancora di più ed ho provvisoriamente concluso che questi miei viaggi di un’ora  o due sono hanno necessariamente gli occhi di un turista curioso, di un visitatore. Colgono alcuni aspetti e ciò  ha comunque senso; ma non possono cogliere molto di più.

Cune 4 gennaio 2015.
   

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