16 ottobre 2013

"Le nu provençal" di Willy Ronis

di Davide Pugnana
Si sa: la prima regola per una corretta lettura del 'testo' fotografico è la scelta di un lessico critico che rifugga dalla terminologia propria della pittura. Provenienti da processi creativi opposti, lingua della pittura e lingua della fotografia rischiano di darsi battaglia dentro lo spazio di un comune telaio lessicale.
  Ma è pur vero che non esiste 'scatto' che non (s)muova depositi inconsci di immagini della tradizione figurativa: la forma e la luce di una mela fissata dall'obiettivo recherà in sé fatalmente la cifra di Caravaggio e di Cézanne, al di là del giorno e dell'ora. Il nudo di donna al bagno di Ronis è esemplare del dialogo fecondo tra pittura e fotografia.
 Lo vediamo d'acchito, spingendo l'occhio nella fessura voyeuristica nella quale l'autore ci costringe: quel taglio prospettico obliquo, risolto nello scorcio della sedia che fa d'abbrivio al racconto e costruisce la spazialità di una bolla intima. 
Ma l'immagine non si apre solo allo spazio; la fotografia è arte del tempo, come la pittura. La sua fissità è sostanza apparente. Il suo tempo è il disporsi muto degli oggetti e del gesto ben oltre l'attimalità della cronaca quotidiana. 
Nel disporre la composizione, Ronis trova continuità temporale nella diagonalità sedia-brocca che riecheggiano a distanza per evocare la profondità. E il tempo è anche la narrazione della luce e dell'ombra. Impariamo tutto da quell'effondersi pulviscolare di una luce di calce e miele, implacabile e lenticolare nel dire le rugosità striate del legno; il mortaio dimenticato nell'angolo; le piastrelle irregolari; il residuo d'ombra umana, in corsa oltre il campo visivo; fino al catino incandescente e pericolosamente in bilico. 
Così non rimangono inespresse alcune finezze prossime all'astrazione, quali: l'eco replicata, dal basso verso l'alto, delle geometrie circolari del tappetto e dello specchio, passando per i dischi della struttura in ferro, quasi metafore del tempo immobile e pausato della stanza; e al centro la posa, l'accademica posa neoclassica da Venere al bagno che Ronis sottrae alla tentazione del ritratto per farle riassume in sé tutte e donne.
 E' qui lo schiaffo della luce sui capelli, sulle spalle e le scapole gracili, lasciato come una frusta a precipizio nel conteggio arcuato delle vertebre e delle costole in penombra, fino alle piante dei piedi, classicamente disposte secondo il contrapposto di una gamba in tensione e l'altra lasciata flessa e libera. 
Tutti questi elementi, fusi in uno scatto vertiginoso, rendono la foto di Willy Ronis la più 'degasiana' del Novecento. Non una citazione o un omaggio fotografico al pittore francese; ma un'assimilazione profonda della sua visione pittorica nella logica formale di costruzione dell'immagine fotografica. 
Ronis supera così l'immediatezza e la casualità del 'clic' fotografico recuperando la causalità intenzionale del classicismo di matrice degasiana, quello del sincretismo spazio-luce-figura. 
Willy Ronis. Le nu provençal. 1949



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