03 dicembre 2012

“La fuga di Tolstoj” di Alberto Cavallari




di Gianni Quilici

Premessa autobiografica: quando un’artista, qualsiasi linguaggio egli adoperi, crea al punto di intrigarmi profondamente, scatta nel sottoscritto il desiderio di conoscere la sua vita nei dettagli del quotidiano, forse per confrontarmi, forse per un desiderio di imitarlo, come se la mia identità fosse ancora incerta (e, per certi versi, lo è) nella sua configurazione o comportamenti.

Così quando ho visto su un banchetto (di quelli veri, che “cercano” i libri, non solo li vendono), “La fuga di Tolstoj” di Alberto Cavallari, pubblicato nel 1986, con al centro del romanzo  foto con Tolstoi a cavallo, al tavolo di studio, con la moglie Sof’ia e con la numerosa famiglia composta da ben sette figli e 25 nipoti,  non ho avuto dubbi, l’ho comprato e letto in due notti di seguito.
Ma chi è Alberto Cavallari? Alberto Cavallari (1927-1998) è stato un importante giornalista, direttore del Corriere della Sera dal 1981 al 1984, collaboratore della Repubblica dal 1984 fino alla sua morte, 1998, e, in questo romanzo, si rivela anche uno scrittore sottile e poetico.

Il libro, come scriveva Enrico Franceschini, è “ un po’ romanzo, un po’ inchiesta, sempre poetico, dolcemente malinconico come una ballata russa” e più precisamente riesce a condensare questi elementi realistici e immaginativi (la narrazione è inframmezzata da frasi prese dai diari di Tolstoj), ripercorrendo i giorni che vanno dalla scelta di fuggire dalla propria casa, all'età di 82 anni, fino al momento della morte. 

Alberto Cavallari dà la misura della grandezza di Tolstoj, come motiverò, nel groviglio dei suoi contrasti e pone come contraltare Sof’ia, di cui Cavallari dà una rappresentazione netta, rappresentandola dall’esterno attraverso i fatti (uno su tutti per esemplificare:  la donna scopre che il marito è fuggito e immediatamente cerca di suicidarsi, gettandosi nell’acqua alta dello stagno della tenuta di Jasnaia Poljana, dove vivevano), ma anche come Tolstoj la percepisce nei tormentosi suoi pensieri.  

La grandezza dello scrittore russo è data, infatti, dal contrasto lacerante e mai risolto tra fuggire-restare, tra radice-libertà, tra responsabilità-irresponsabilità e soprattutto dal desiderio di una vita perfetta, quasi da santo, presente in diversi racconti (Padre Sergio, tra tutti), che però si scontra con la realtà esterna e coi suoi stessi desideri.
Scrive Cavallari:
“..voleva essere un apostolo, faceva l’amore con Sof’ia ma poi ne aveva disgusto, amava i figli ma li considerava peccati e si condannava per averli avuti, odiava il sesso ma gli era sempre piaciuto fermarsi nelle isbe e possedere le contadine, voleva la povertà ma viveva con servi e cavalli, voleva fuggire di casa ma non poteva vivere senza la moglie che gli organizzava il lavoro, l’attività editoriale, la gloria, la corte degli amici e dei clienti”.

Ma anche è data (questa grandezza) dal bisogno continuo di rappresentare e di rappresentarsi, dalla necessità, cioè, di non perdere niente dello scorrere dell’esistenza.
 Infatti anche in questa circostanza Tolstoj non cessa di scrivere sul diario come aveva fatto tutta la vita ed è curioso sapere che in questa sua grande famiglia patriarcale “tutti scrivevano in segreto appunti, note, taccuini, quaderni, che poi altri venivano a sapere. Tutti spesso li leggevano agli altri, perché la moda del tempo voleva che si vivesse così, “dicendosi la verità”. Tutto creava un’aggrovigliata matassa di “verità”, che facevano solo male, intrecciando fili taglienti di sospetti, gelosie, pensieri sinceri o pensieri artificiosi, magari scritti per manovrare i pensieri altrui”

Ed infine questa grandezza si manifesta da quella radiografia psichica di Cavallari, che mescola sapientemente angosce e qualche rara felicità di quei pochi giorni con il paesaggio russo: i villaggi nella notte e i mugiki che escono dalle isbe alle prime luci,  il treno affollato e freddo con le strade orrende piene di fango e di buche, la piccola, sperduta stazione ferroviaria, Astapovo, dove morirà rincorso da cronisti e emissari, familiari e curiosi. Come osservava Guido Ceronetti La fuga di Tolstoj è anche “ un perfetto soggetto cinematografico” Aggiungo: visivo e introspettivo.

 
Alberto Cavallari. La fuga di Tolstoj. SKIRA.








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