16 gennaio 2012

Umberto Galimberti racconta. Freud, Jung e la psicoanalisi.

di Gianni Quilici

Trovo casualmente questo libriccino, allegato a Repubblica, in cui Umberto Galimberti racconta Freud, Jung e la psicoanalisi con in appendice alcuni brani di testi di Freud.
Lo leggo e mi sembra di avere un po' più chiaro di prima il pensiero di Freud e quello di Jung e la loro differenza.

Naturalmente quella di Galimberti è soltanto una sintesi, che raccoglie in poche pagine dei pensieri molto complessi. Ha il merito, però, di farlo con uno stile narrativo, che si fonde con la chiarezza espositiva.

In questa nota è inutile e fuorviante inseguire un'altra sintesi dell'estrema sintesi da Galimberti già operata. E' possibile, invece, suggerire, sulla base del testo, una stesura schematica del pensiero di Freud e di Jung; utile per comprendere il significato dei singoli e numerosi concetti, che delineano il pensiero di entrambi nella loro specificità, ma anche nella loro connessione e differenziazione.
Soprattutto per farsi le domande, a cui un approfondimento degli stessi testi possano fornire risposte. Del resto è questo l'obiettivo del libretto: introdurre alla lettura di Freud e Jung. Uno scopo insomma divulgativo, e quindi anche pedagogico.

Galimberti legge, tuttavia, questi classici del pensiero del profondo, secondo il suo punto di vista, e lo delinea, a me pare, nel modo più congruo: accostando quel pensiero ai mutamenti tecnologici che, da allora ad oggi, si sono determinati e che ampliano, in molte direzioni, lo scenario psicologico e psicoanalitico contemporaneo.

Nota infatti Galimberti che, oltre l'inconscio pulsionale e sociale segnalato da Freud, l'uomo oggi è condizionato da una sorta di inconscio tecnologico, che lo relega ad una funzione e a un ruolo.

Jung, secondo Galimberti, ha compreso meglio di Freud, senza togliere nulla all' importanza e grandezza di quest'ultimo, le conseguenze di questi mutamenti. Per Jung, infatti, scopo finale della pratica psicoanalitica è diventare se stessi, al di là delle maschere e dei ruoli, sapendo che l'inconscio non contiene soltanto esperienze personali vissute o dimenticate, ma anche quello strato più profondo, dove è depositato il patrimonio psicologico dell'umanità, a cui Jung ha dato nome di inconscio collettivo.

Sono anche altri gli aspetti che rendono Jung, secondo Galimberti, più vicino alla realtà e sensibilità dei tempi nostri.
Per Freud l'inconscio personale consiste sopratutto in complessi (modello concettuale); per Jung l'inconscio è formato essenzialmente da archetipi (modello immaginale), che sono forme di inconscio collettivo presenti sempre e dovunque.

Freud scopre genialmente le regole per il controllo delle pulsioni; Jung, oltre a questa necessità di conoscenza e controllo, pone una questione ulteriore: quel processo di individuazione “necessario per recuperare le figure psichiche che popolano l'inconscio, perché la vita possa alimentarsi con nuovi motivi e temi d'esistenza”. In questo senso, mentre Freud crede alla psicoanalisi come scienza, Jung ritiene che la psicologia “deve abolirsi come scienza” per il fatto che il suo oggetto di indagine coincide con lo stesso soggetto indagatore.


Le ultime due pagine condensano “il futuro della psicoanalisi”. Qui, riprendendo Alan Ehrenberg, Galimberti sottolinea che non siamo più nella “società della disciplina”, ma nella “società dell'efficienza”. Oggi, scrive, “la misura ideale dell'individuo non è più data dalla docilità e dall'obbedienza disciplinare, ma dall'iniziativa, dal progetto, dalla motivazione, dai risultati che l'individuo è in grado di ottenere per conseguire i quali deve fare appello alle sue risorse interne, alle sue competenze mentali, alle sue prestazioni oggettive, per raggiungere quei risultati a partire dai quali verrà valutato”.
Il disagio non si presenta più nel conflitto nevrotico tra “norma e trasgressione” come ipotizzava Freud, ma nel senso di insufficienza su ciò che si può fare e non si è in grado di fare. E quindi più che tristezza, dolore, senso di colpa il disagio diventa ansia, insonnia, inibizione.

Su questi temi, su come, cioè, le tecnologie stanno mutando tumultuosamente e radicalmente le strutture psichiche di uomini, donne e bambini, creando diverse percezioni, ideologie, sentimenti, e producendo nuove nevrosi, Galimberti ha scritto, tra gli altri, un libro penetrante I vizi capitali e i nuovi vizi -Feltrinelli- in cui ai vecchi vizi capitali come l'ira, l'accidia, l'invidia, la superbia, l'avarizia, la gola, la lussuria, si sono aggiunti nuovi vizi come il consumismo, il conformismo, la sessomania, la spudoratezza, la sociopatia, il diniego e il vuoto, che non sono più, come i vizi capitali, una deviazione o una caratteristica della personalità, ma il dissolvimento della stessa.


Umberto Galimberti racconta. Freud, Jung e la psicoanalisi. La biblioteca di Repubblica.

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