18 maggio 2010

"Ti vogliamo bene, Bordelli !" di Luciano Luciani

Ti vogliamo bene, commissario Bordelli!Innanzitutto per la malinconia di cui è intriso il tuo personaggio di funzionario statale, ultracinquantenne con gli acciacchi fisici propri dell’età, e quelli morali: se non deluso certo ampiamente disincantato nei confronti delle Storia del tuo tempo e di ogni sorte magnifica e progressiva. Poi, per il tuo metodo di indagine: per niente canonico, non si trova in nessun manuale di criminologia: quel calarti, a poco a poco, nell’atmosfera del delitto; quell’immedesimarti nei pensieri e nei sentimenti della vittima e del colpevole, anche quando quest’ultimo non ha ancora un’identità fino ad appropriartene in virtù di quel un rapporto empatico che finisce sempre per stabilirsi nelle tue indagini tra preda e cacciatore, tra cacciatore e preda.
Amo, poi, la Firenze popolare delle tue storie. Quella dei primi anni ’60, ancora precedente all’alluvione e al Sessantotto e il racconto dei suoi interni piccolo borghesi, abitati da personaggi, non single, come si dice oggi, ma soli, davvero soli. Bordelli, un lupo solitario; Fabiani, un problematico psicoterapeuta; Rosa, ex prostituta che dopo la legge Merlin con un gruzzoletto si è comprata casa; il Botta, un artista dello scasso a cui nessuna serratura può resistere, ma ingenuo e sfortunato per cui entra ed esce di galera. E poi il dottor Diotivede: anziano anatomopatologo, che dall’analisi dei poveri resti delle vittime ricava indizi, informazioni e, quasi aruspice etrusco, conferme dolorose alla sua dolente visione del mondo. Bozzetti di vita urbana fiorentina degli inizi del boom economico che, sempre improntati a un tranquillo naturalismo, rimangono nella memoria più delle architetture delittuose propriamente dette.
In fondo, per te, assicurare il colpevole alla giustizia è questione abbastanza secondaria e tu, Bordelli, sembri rassegnarti al tuo ruolo di poliziotto solo perché proprio non ne può fare a meno. Diffidente e un po’ scettico nei confronti delle nuove tecnologie, nuovo sceriffo della città di Dante preferisci indagare le zone oscure, il cuore nero dell’animo umano. Perché hai compreso che la natura dell’uomo è sempre la stessa, sempre sfregiata di soliti vizi: ipocrisia, avidità, disamore, prevaricazione dei forti sui deboli. E i tempi in cui ti trovi a vivere, alla vigilia degli ‘anni formidabili’, quelli in cui la società italiana si sta trasformando da agricola in industriale e consumista, aggiungono a quelli di sempre solo nuovi, inediti mali: l’indifferenza, la mancanza di calore umano, l’assenza di qualsivoglia solidarietà, il cinismo… Nuove miserie morali che ti turbano nel profondo, ti indignano, offendono il tuo decoroso moralismo, la tua ossessione per la verità e la giustizia.
Investigatore abituato a usare soprattutto pazienza e gambe, pragmatico e per niente cerebrale, con tratti e toni tutti tuoi (italiani, toscani, fiorentini) ti modelli soprattutto sul grande Maigret di Simenon. E come l’indagatore parigino parti dalla convinzione che “in ogni malfattore, in ogni bandito c’è un uomo”. Basta allora saper aspettare e spiare “la fessura… il momento in cui l’uomo appare”. Nel frattempo bisogna marcare il colpevole quanto più possibile da vicino, imparare a conoscerne virtù e debolezze: insomma, coinvolgersi fino in fondo nella vicenda criminale, condividere il caso dall’interno; viverlo con pienezza di umanità, di ragione e sentimento, sia dal punto di vista delle vittime, sia da quello dei carnefici.
In te nessun maledettismo alla Sam Spade e alla Philip Marlowe: per stile di vita, convinzioni e comportamenti, sei un piccolo borghese, un modesto funzionario al servizio dell’ordine e della giustizia nella complicata società del tuo tempo, sia pure con qualche tratto originale che non ti aspetteresti in un poliziotto. Sì, perché, a suo tempo, hai combattuto dalla parte giusta, hai fatto la Resistenza; partigiano con le stellette, partigiano in divisa sei uno che ha retto, sia pure a fatica, alla restaurazione scelbiana;sei un antifascista a cui la sistemazione postbellica del nostro Paese va piuttosto stretta. Non ami i tuoi superiori e i magistrati a cui deve rendere conto perché li vede malati di burocrazia e di compromissioni coi potenti, mentre una profonda solidarietà ti unisce agli onesti lavoratori della legalità con cui, nella questura fiorentina, condividi gioie e dolori, successi e sconfitte, giorni e notti di indagini. Di media cultura, vai al cinema a vedere i fil di Sergio Leone, leggi i libri di Primo Levi, guardi tanta televisione davanti alla quale, sfinito, ti addormenti dopo Carosello.
Tuo modello femminile, un’icona cinematografica e televisiva dell’epoca, Virna Lisi: attento alle vicende politiche del suo tempo (il centro sinistra di Moro, Fanfani e Nenni) sei abbastanza curioso del nuovo che avanza, i giovani innanzitutto, che senti lontani, ma carichi di una passione di vita, di una rabbia, che intuisci carica di vitalità, di valori positivi se pure confusi, condivisibili se solo avessi trent’anni di meno.
All’interno della vecchia criminalità fiorentina ti muovi come un pesce nell’acqua: di lì, in nome di relazioni costruite nel tempo e fatte di rispetto, stima vengono le dritte giuste, le informazioni necessarie alle soluzioni dei casi più spinosi… Di te, protagonista burbero e democratico di ben quattro romanzi, ormai, sappiamo tutto: la tua biografia; il tuo sistema di relazioni; gli amori, confusamente gestiti e finiti sempre male; conosciamo addirittura la figura del tuo successore, il giovane Piras, che, risolve un caso applicando con un po’ di fortuna, il “metodo Bordelli” alle indagini per un delitto misterioso.
Un po’ Pratolini, un po’ Simenon, un po’ Scerbanenco sei a diventare una figura indimenticabile nel panorama della altrimenti esangue narrativa contemporanea.
Ma con la tetratologia che ti riguarda non arrivano a compimento solo gli scenari e i personaggi: anche il tuo mondo morale giunge a una sua definitiva completezza. “Un poliziotto prima di tutto deve essere giusto”: un’idea di giustizia che travalica la norma, i regolamenti e i codici.
Un concetto di giustizia alto e umanissimo il tuo che arriva con forza ai nostri giorni, parla all’attualità con il valore di un monito. Garantite la democrazia e la libertà, bisogna tutelare la giustizia e non è giustizia “fare le parti uguali tra diseguali”. Lo diceva un altro grande toscano e fiorentino che si chiamava Lorenzo Milani, don Lorenzo Milani che proprio nei tuoi anni agiva a Vicchio, nel Mugello a due passi da casa tua e sarebbe davvero straordinario se in un prossimo romanzo Marco Vichi, il tuo inventore, il tuo ‘babbo’, vi facesse incontrare.

Luciano Luciani