31 gennaio 2010

"La fragile bellezza dei gigli"

di Luciano Luciani

Gigli egiziani e greci, ebrei e cristiani
“Guardate i gigli, come crescono; non filano non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro”: così l’evangelista Luca rende omaggio se non all’utilità, certo alla bellezza di questo fiore, una tra le piante di cui si abbia più remota memoria.

Sì, il giglio accompagna la storia dell’uomo fin dalla notte dei tempi e lascia le sue tracce nei più antichi documenti letterari: se gli scrittori egizi gli attribuivano un’origine divina, per il mito greco, il giglio, “fior dei fiori”, sarebbe nato da una gocciolina di latte sfuggita al seno di Giunone mentre piena di senso materno si adoperava per nutrire il piccolo Ercole, figlio di Giove e Alcmena.

Nel Cantico dei Cantici dell’Antico Testamento è il fiore più evocato con immagini di fresca poesia e di intenso erotismo.
Bastino due esempi:
I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella che pascolano tra i gigli…
Il mio diletto era sceso nel suo giardino fra le aiuole del balsamo a pascolare il gregge nei giardini e a cogliere gigli. Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me: egli pascola il gregge tra i gigli…

Presente nella mitologia pagana e nella tradizione ebraica, il giglio, nihil candidius, passa nella consuetudine cristiana come simbolo di purezza ed emblema di verginità, attribuiti a Sante, Santi, e Dottori della Chiesa. Elemento ricorrente della iconografia cristiana caratterizza le immagini dell’illibato San Giuseppe, del nonno di Gesù per parte di madre, San Gioacchino. Questo motivo floreale arricchisce le immagini di santi famosi come San Domenico, San Tommaso d’Aquino, Sant’Antonio da Padova, l’arcangelo Gabriele, l’austero ed eroico San Luigi Gonzaga, patrono dei giovani italiani, Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia e protettrice delle infermiere… Fiore democratico, il giglio non disdegna poi di impreziosire anche effigi di personaggi meno noti come San Casimiro, mite principe pacifista del XV secolo, patrono delle cristianissime Polonia e Lituania, morto giovane di consunzione dopo una vita tutta dedita allo studio e alla preghiera, oppure dello sconosciuto San Chenelmo e tanti, tanti altri a testimonianza di uno strettissimo intreccio tra questo fiore, le sue forme, i suoi colori, il suo profumo e la più peculiare sensibilità cristiana.

Il giglio, però, non hai ispirato sempre e a tutti immagini virtuose di castità e purezza. Per esempio, ad uno scrittore anticonformista ed iconoclasta come Pietro Aretino sollecita l’ennesima metafora burlesca del membro virile: Piantato il suo giglio nel mio orto…lo faceva suonare.

Spontanei, ibridi e recisi. Cinesi e americani.
Il genere Lilium comprende un centinaio di specie, a cui vanno aggiunti i sempre più numerosi ibridi realizzati tramite incroci praticati da floricoltori.

La specie più comune è il Lilium candidum, dai fiori bianchi, immacolati, grandi odorosi detti di Sant’Antonio o San Luigi: presenta un fusto grosso, eretto, circa un metro, fornito di foglie lanceolate che decrescono dalla base verso la parte superiore. E’ originario dell’Asia occidentale, si coltiva per ornamento nei giardini da cui talora sfugge e inselvatichisce.
Bello, diffuso e spontaneo nelle nostre aree montuose è il Lilium martagon, di origine europea, detto più comunemente martagone o anche “turbante di turco”: presenta larghi fiori penduli con petali molto ricurvi all’indietro di color rosa macchiati di scuro. “Addomesticato” viene coltivato nei giardini rocciosi e nelle roccaglie.

Sempre spontaneo dei nostri monti il Lilium bulbiferum o croceum si presenta con fiori grandi eretti, privi di odore, giallo aranciati con macchie marroni o porporine.

Il tigrinum, originariamente proveniente dalla Cina e l’auratum che ci giunge dalle montagne del Giappone e dalle isole del Pacifico sono invece due specie molto amate dai fiorai perché commercializzate sotto forma di fiori recisi.

Meritano poi di essere ricordati gli “americani” pardalinum, un giglio californiano che può raggiungere i due metri di altezza e il canadese, mentre il Lilium regale, scoperto in Cina all’inizio del Novecento, solo da qualche decennio a questa parte comincia a conoscere una larga diffusione anche nelle nostre aree per la sua bellezza, resistenza e facilità di coltivazione. Ma la schiera dei gigli è destinata ad accrescersi ancora, sia perché appassionati floricoltori creano continuamente nuove rarità per mezzo di ibridazioni, sia perché se ne scoprono sempre nuove varietà, come il delicato Lilium arboricolum, trovato in Birmania, in tempi relativamente recenti da una spedizione inglese.

Alcuni modesti consigli
Come regola generale i bulbi del giglio si piantano subito dopo la scomparsa delle foglie, periodo che coincide con la fine dell’estate variando un poco, a seconda dell’epoca e fioritura delle diverse specie.
Se si osserva un bulbo di giglio ci si accorge che, a differenza degli altri bulbi, esso non è protetto da una membrana esterna ed è perciò esposto all’aria e alla siccità; da qui la necessità di interrarlo quanto prima. Infatti se si ordinano bulbi a qualsiasi stabilimento orticolo dovranno essere spediti in pacchetti chiusi, riparati da torba umida.
Un altro avvertimento: ogni bulbo è accompagnato da un fascio di radici che ne sono una parte essenziale. Esse non dovranno assolutamente essere tagliate e all’atto della piantagione si dovrà fare in modo che vengano a trovarsi ben distese, affinché la pianta possa subito iniziare la sua nuova vita. Fioriranno alla fine di maggio e nelle diverse specie continueranno a fiorire in giugno – luglio – agosto, in un periodo in cui poche altre piante sono in fiore.



Nel lotto, nell’araldica, nell’onomastica…
Per chi sogna e gioca al lotto la Smorfia consiglia: giglio 5; gigli 66; giglio bianco 56, dipinto 36; giglio d’oro 51, di Francia 26, come arma nobile 33. Infatti, questo fiore ricorre spesso nelle arme gentilizie: il fleur de lis si ritrova in quella della famiglia Farnese, “ sei gigli azzurri in campo d’oro”; degli Acciaioli, stemma “d’argento al leone azzurro tenente un giglio d’oro”; degli Acquasparta “spaccato nel primo azzurro a nove gigli disposti cinque a quattro”; dei Fani, arma “d’azzurro alla fascia accompagnata in capo a un giglio ed in punte da un tronco di colonna il tutto d’argento”; dei Bolognetti “una faccia di donzella circondata da una ghirlanda in campo azzurro e di sopra tre gigli d’oro”… e poi dei Cardelli, Cecchini, Pamphili, Paracciani, Ricci, Serlupi e in chissà quante arme ancora!
Venendo a trattare di più comuni mortali, ricordiamo che Gigli e Giglio – con le alterazioni e i derivati Giglietti, Gigliucci, Giglioli, Gigliotti, Giglione, Gigliano, Gigliato, Gigliuto, Zigliotto, Ziggiotti etc., - costituiscono alcuni tra i cognomi più diffusi in Italia, originati, come è ovvio, da un nome personale legato al fiore del candore e della purezza.

Dorato in campo azzurro, dal XII secolo fino alla Rivoluzione francese e di nuovo durante la restaurazione, il giglio ha rappresentato il simbolo della Francia monarchica: non mancando di comparire per secoli, dall’inizio della Guerra dei Cent’anni fino al 1802, anche sullo scudo della Gran Bretagna, per significare le pretese della corona inglese sul vicino francese.

Delicato, aggraziato, raffinato, profumato questo fiore: con la ricchezza delle specie, la sua spontaneità ed adattabilità, la grande disponibilità a piegarsi alle voglie dell’uomo sembra riproporci l’idea di una Natura amorosa, benigna, propizia almeno per chi sa coglierne i messaggi sottili e silenziosi. Ma il giglio ci dice anche altre cose, quando con l’armonia delle forme, la delicatezza del profumo, la discrezione dei colori ribadisce, nella maniera sommessa che gli è propria, il valore della bellezza disinteressata contro ogni concezione bassamente utilitaristica della vita.

Non a caso a questo fiore fa riferimento un intellettuale raffinato come John Ruskin, quando nel suo celebre e polemico Le pietre di Venezia afferma: Le cose belle sono le più inutili; i pavoni e i gigli, per esempio.