06 dicembre 2009

"Il liberalismo economico e intelligente di Thomas Babinghton Macaulay"

di Luciano Luciani






Thomas Babington Macaulay non è stato forse il più grande storico inglese, ma è di sicuro uno tra i più letti e popolari. Alla sua notorietà contribuirono i profondi mutamenti intervenuti in età romantica nella cultura inglese e in quella europea: se il XVIII secolo era stato caratterizzato dai progressi della fisica classica newtoniana e dalla diffusa attenzione per la speculazione scientifica, nel secolo XIX il pubblico colto leggeva con interesse ed entusiasmo i lavori degli storici anche quando questi si sviluppavano in opere di grande impegno distribuite in molti e ponderosi volumi.

Nella borghesia europea dell’Ottocento si manifestava una vivace esigenza di cultura storica che dava alle opere di Gibbon, Niebuhr, Ranke, Mommsen, Treitschke, Macaulay, Michelet, Guizot una risonanza e una diffusione difficili da immaginare ai nostri giorni.

Leggibili e godibilissimi i suoi scritti afferravano l’immaginazione del lettore con la forza espressiva di un buon romanzo: lo stesso Charles Dickens non aveva molto da insegnare a Macaulay in fatto di stile colorito e vigoroso. Per lui la storia non era una scienza e non doveva rimanere al di sopra delle parti: era soprattutto letteratura “impegnata”, civilmente e politicamente, in favore del liberalismo inglese, schierata con le ragioni della libertà e del progresso contro gli ideali di ordine e tradizione dei Tories, i conservatori inglesi.

Macaulay era un uomo di parte, partigiana era la sua storia e proprio questo suo atteggiamento polemico, palese e dichiarato, induceva molti a leggere i suoi libri. Non erano i fatti ad interessare Macaulay, ma la loro interpretazione. Per lui il compito dello storico non era tanto registrare il passato quanto soprattutto illuminarlo: ma lo studioso e lo scrittore di storia non dovevano trascurare il divertimento dei lettori: “ Per me ” – ebbe a dire una volta Thomas Babington – “ un libro che non sia divertente è privo di una delle sue virtù essenziali ”.

Macaulay era nato nel 1800 da una famiglia economicamente modesta ma ricca di sensi liberali ed anticonformisti: il padre, Zachary, era stato un famoso riformatore puritano, esponente di spicco del movimento d’opinione contro la tratta degli schiavi; la madre, a sua volta, proveniva da una famiglia di liberi pensatori.
Le sue eccezionali doti intellettuali si rivelarono sin dalla più giovane età. Prodigiosa la sua memoria che gli permetteva di citare senza errori pagine e pagine di qualunque pubblicazione. Entrato a diciotto anni al Trinity College di Cambridge, ottenne tutti i riconoscimenti possibili nel campo degli studi classici e letterari, acquistando anche un’eccellente fama di oratore. A Cambridge, tuttavia, la matematica era tra le materie obbligatorie e Macaulay, nonostante tutti i suoi successi sul versante delle discipline storico-letterarie, non sapeva districarsi tra le più semplici operazioni aritmetiche. Nonostante venisse rimproverato in un paio di occasioni a causa di questa sua debolezza, a soli 24 anni era già professore al Trinity College. I suoi esordi professionali lo videro impegnato nella carriera legale, un’attività che, allora come oggi, permetteva di passare facilmente alla vita politica.

A 30 anni, infatti, preceduto dalla notorietà che gli derivava dalle sue abilità oratorie, Macaulay venne eletto alla Camera dei Comuni tra le file dei Whigs, i liberali inglesi. Fin dall’inizio, la sua presenza in Parlamento si rivelò assai vivace e Macaulay divenne uno dei personaggi più in vista del dibattito politico e del liberalismo inglesi.

All’inizio di quel decennio la società inglese si trovava a godere di un benessere economico mai conosciuto prima: le attività economiche si fondavano sull’apparato industriale più moderno del tempo e gli imprenditori, i banchieri, gli speculatori inglesi dominavano il mondo finanziario ed i mercati mondiali. I diritti fondamentali (opinione, parola, religione, proprietà) erano garantiti e sostanzialmente rispettati. La classe dirigente inglese, in cui aristocratici intraprendenti e attenti alla modernità si mescolavano con gli esponenti più capaci della borghesia urbana, poteva così aprirsi ad una politica di riforme senza scatenare aspre tensioni sociali. “ Riformate, affinché possiate conservare“: così intelligentemente si esprimeva nel marzo del 1831 il giovane deputato Macaulay nel corso del dibattito sul First Reform Bill, un provvedimento finalizzato ad abbassare il reddito minimo previsto per esercitare il diritto di voto che fu poi approvato nel 1832.

A 33 anni Thomas Babington Macaulay dovette prendere una difficile decisione: gli fu offerto, infatti, un posto di grande rilievo nell’amministrazione coloniale inglese in India, la cui conquista si era conclusa nel 1818. Gli veniva garantito uno stipendio di diecimila sterline annue: accettare voleva dire rinunciare ad una carriera politica brillantemente avviata e trascorrere alcuni anni lontano dall’Inghilterra. Gli veniva offerta, però, la possibilità di guadagnare in pochi anni il denaro sufficiente per vivere con agiatezza per tutto il resto della vita.
Macaulay, agli inizi della carriera e di condizioni economiche ancora piuttosto modeste, scelse di vivere e lavorare in colonia per alcuni anni. Partì nel 1834 in compagnia della sorella Hannah. Il primo lavoro che gli toccò in qualità di funzionario governativo fu quello di presiedere una commissione incaricata di decidere i programmi di studio per le scuole che gli inglesi intendevano organizzare in India.
Nutrito degli ideali ottimistici e delle certezze della borghesia che stava costruendo l’impero britannico, Macaulay non ha che un modello di cultura da proporre: quello occidentale, da realizzare attraverso la diffusione della conoscenza della lingua inglese. Scarsa la sua attenzione per le tradizioni, le lingue, la storia, la cultura indiane.
Così nel pieno delle sue funzioni scriveva al governatore inglese: “Il problema che dobbiamo risolvere è semplicemente se – avendo noi la possibilità di insegnare l’inglese – dobbiamo insegnare lingue, in cui per universale consenso non ci sono per nessuna materia libri degni di essere comparati con i nostri; se, potendo insegnare le scienze europee, dobbiamo invece diffondere dei sistemi che, per consenso universale, dovunque differiscono da quelli europei e differiscono in peggio; e se, potendo promuovere una sana filosofia ed una veridica storia, dobbiamo diffondere, a spese pubbliche, dottrine mediche che farebbero arrossire dalla vergogna il peggior ciarlatano inglese; un’astronomia che farebbe ridere le ragazzine di un nostro pensionato; una storia zeppa di re alti nove metri e di regni della durata di trentamila anni, e una geografia fatta di mari di melassa e di burro “.

In India fino al 1837 Macaulay non si occupò solo dei problemi dell’organizzazione dell’istruzione pubblica: membro del Consiglio Supremo lavorò al Codice Penale che più tardi doveva essere accettato in tutto quello sterminato territorio coloniale.
Rientrato in Inghilterra due anni prima del previsto, rimise piede in Parlamento come deputato di Edimburgo e venne addirittura nominato segretario alla guerra nel governo liberale di Wilson Lamb, conte di Melbourne. Gli incarichi ministeriali non facevano, però, per lui che salutò probabilmente con un sospiro di sollievo la sconfitta elettorale subita dai Whigs nel 1841 ad opera dei conservatori guidati da Robert Peel. Ebbe così finalmente il tempo per scrivere poesie di ispirazione storico-narrativa che lo resero famoso in tutto il mondo di lingua inglese. I suoi Lays of ancient Rome (Canti di Roma antica), 1842, che rievocavano episodi eroici della leggendaria storia di Roma, ebbero un enorme successo di pubblico e se ne vendettero oltre centomila copie in trent’anni. Meno entusiasta la critica: Macaulay, che affermò più tardi che “ forse nessuno può essere poeta e forse neppure godere la poesia, senza un pizzico di follia “ (Saggi letterari) non si adontò per questa incomprensione e tornò a dedicarsi ai suoi amati studi storici. Due anni dopo la pubblicazione dei Canti furono raccolti in tre volumi i Saggi critici e storici che erano originariamente apparsi sulle pagine dell’ “ Edimburgh Review “, a cui Macaulay collaborava con regolarità fin dal 1825.
Anche questo lavoro riscosse in breve tempo uno straordinario successo: in Inghilterra fu subito best-seller e negli Stati Uniti per molti anni il numero delle copie vendute dei saggi fu inferiore soltanto a quello della Bibbia!

In queste pagine l’attenzione di Macaulay si allarga dal suo Paese a tutta l’Europa: memorabili i suoi ritratti di Bacone, Milton, i due Pitt, Machiavelli, Mirabeau, Federico il Grande. Trattando di questo sovrano, re di Prussia dal 1740 al 1786, Macaulay ne fa il modello del principe illuminato settecentesco, razionalista e ammiratore della cultura francese. Atteggiamento che non gli impedì, con il trattato di Westminster del 1756, il famoso “rovesciamento delle alleanze” in funzione antifrancese, antiasburgica e a fianco dell’Inghilterra.

Non contento della sua ottima riuscita come storico, nel giro di pochi anni, Macaulay dimostrò di avere ben altre frecce al suo arco e di non essere solo lo scrittore brillante che nel breve spazio di un saggio sapeva avvincere l’attenzione del lettore per l’eccellente qualità della prosa, la capacità di ricostruire con lucida sintesi lo svolgersi di avvenimenti anche complessi, l’acutezza del giudizio storico. Nel 1849 uscì la sua opera di maggior impegno e più vasto respiro: la Storia d’Inghilterra dal 1688 al 1701, in cinque volumi pubblicati tra il 1849 e il 1861. E’ questo un classico della storiografia liberale, che con grande chiarezza espositiva affronta un periodo cruciale della secolare vicenda inglese: la sconfitta del cattolico Giacomo II Stuart e la sua cacciata dall’Inghilterra ad opera di una coalizione di liberali protestanti e conservatori; la nascita della nuova monarchia costituzionale degli Orange; la Declaration of Rights (Dichiarazione dei Diritti) del 1689 che prevedeva la libertà di parola, l’approvazione delle tasse da parte del Parlamento, un esercito non permanente. Una fase difficile ma propizia della storia d’Inghilterra che proprio in quegli anni conquista il predominio sui mari e si avvia a diventare la prima potenza commerciale del mondo, mentre all’egemonia francese sull’Europa si andava sostituendo il principio dell’equilibrio, la balance of power, tra le potenze del continente.

Macaulay naturalmente scrisse da appassionato sostenitore di quella che gli inglesi ancora chiamano glorious revolution, la gloriosa rivoluzione e ne attribuì la maggior parte dei meriti ai liberali. Il suo lavoro fu però ben accolto sia dai Whigs, sia dai Tories e lo stesso principe Alberto di Sassonia-Coburgo, marito della regina Vittoria, dopo la pubblicazione dei primi due volumi mandò a chiamare l’autore della Storia d’Inghilterra e gli offrì il posto di Regius Professor. Macaulay, tuttavia, declinò l’invito: era membro del Parlamento, rettore dell’Università di Glasgow ed i nuovi doveri di accademico di corte lo avrebbero distratto dai suoi amati studi storici che conduceva con uno scrupolo ed uno zelo fuori dal comune: infatti, non si limitava a raccogliere e studiare tutti i documenti reperibili intorno a personaggi e situazioni, ma era solito anche visitare i luoghi legati agli avvenimenti da trattare.

La fama che gli derivò dalla pubblicazione della sua Storia dell’Inghilterra gli aprì le porte della cultura europea. Le maggiori istituzioni accademiche del continente si contesero la collaborazione dello storico inglese: fu fatto Cavaliere dell’Ordine del Merito Prussiano e nominato membro dell’Istituto di Francia, dell’Accademia di Utrecht, Monaco e Torino.

Ritiratosi dalla vita parlamentare nel 1857 per ragioni di salute si vide offrire un seggio alla Camera dei Lords: un riconoscimento che Macaulay accettò come segno di stima e di gratitudine dal suo Paese che egli aveva così bene onorato con l’attività intellettuale e la ricerca storica. In quella Camera “alta” e non elettiva del Parlamento britannico, dove in molti sedevano per diritto ereditario, Macaulay non volle però mai intervenire.

La morte lo colse, ancora fervido ed operoso, il 28 dicembre del 1859. Le sue spoglie riposano nell’Abbazia di Westminster. I posteri – “questa alta corte d’appello che non è mai stanca di elogiare la propria giustizia e il proprio discernimento” (Saggio su Machiavelli) – hanno ridimensionato il valore delle sue opere storiche, apprezzandone però il vigore narrativo e la straordinaria capacità di raccontare ed appassionare il lettore. Una qualità rimasta come tratto distintivo della migliore storiografia di lingua inglese.