30 dicembre 2009

“Hyères, Francia, 1932” foto di Henri Cartier-Bresson


di Gianni Quilici

Ci sono delle foto che mi affascinano. La ragione -mi dico- è in me e nella foto.
Una di queste foto è qui: di Henri Cartier-Bresson.

Se dovessi definirla soltanto con una voce scriverei “linee di fuga”. Sono le linee di fuga che mi affascinano.
La linea di fuga della strada semicircolare, la linea di fuga delle scale, le linee di fuga delle ringhiere.
Su tutto il ciclista: corpo immobilizzato dallo scatto fotografico, ma che, nonostante ciò, appare più mobile degli altri “segni”. La sua mobilità risiede in ciò che si immagina, non in ciò che si vede. Nell'immaginario: egli viene e va in un attimo, sparisce.

Ecco il fascino che avverto: quella transitorietà, che da un lato rappresenta il desiderio di sfuggire all'immobilità, alla stasi, alla fissità: pedala, corre, passa, fugge; dall'altro però si può fermare, fissare con un disegno, una poesia, un fotogramma, un semplice click.

E però questo contrasto acquista un senso, si scolpisce, come qui nella foto di Cartier-Bresson.

Questa è la filosofia che ho colto all'interno dell'immagine, ma anche semplicemente osservando, oltre il primo sguardo, non si può non cogliere la bellezza compositiva delle geometrie che si sovrappongono, i leggeri contrasto di bianco e nero, la forza poetica di quell'uomo in bici così fugace.

C'è, infine, un altro elemento, che sottilmente mi commuove: il fotografo, Cartier-Bresson, il suo aspettare. Lo immagino. Ha trovato un luogo ed un punto ideale per una foto. Ora aspetta un corpo, che dia senso esistenziale e storico alla bellezza di esso. Eccolo arriva: il ciclista veloce. Lo aspetta e lo ferma nell'attimo giusto dopo la ringhera, prima che sparisca.

Henri Cartier-Bresson. Foto scattata a Hyères, Francia, 1932.