08 novembre 2009

"Henry Dunant e le origini della Croce Rossa" di Luciano Luciani




Il primo premio Nobel per la pace
Dicembre, 1901: il comitato per il Nobel del Parlamento norvegese assegna il primo dei premi Nobel per la pace a Henry Dunant, un ultrasettantenne ormai stanco e malato che da anni vive nella camera numero 12 dell’ospizio di Heiden sul lago di Costanza. Fino a trent’anni prima, quell’uomo ora infermo e sofferente era stato il brillante protagonista di anni di febbrile attività in favore dell’arbitrato internazionale e del disarmo, tempra d’organizzatore capace sempre di pensieri grandi e lunghi; poi era intervenuto un lungo periodo di isolamento e oscuramento delle sue idee a cui erano seguiti, di nuovo, anni di ammirazione e di riconoscimenti per gli indubbi meriti conquistati sul campo dell’azione umanitaria e pacifista. Poco prima del prestigioso riconoscimento, in Germania era stata organizzata una sottoscrizione in suo favore; in Russia, mille medici riuniti in congresso gli avevano assegnato il premio Mosca per i servigi resi in favore dell’umanità sofferente. La zarina gli assegnava un vitalizio; la Svizzera decideva di soccorrerlo; il Pontefice gli scriveva di suo pugno e innumerevoli istituzioni benefiche ed organismi della Croce Rossa lo nominavano loro membro o presidente onorario…

Insofferente alla fama che tornava a bussare alla porta del suo rifugio, Henry si negava ai visitatori illustri e si barricava in casa contro gli intrusi, con una testardaggine pari solo all’entusiasmo giovanile con cui rilancia il proprio impegno nella lotta per la pace. Scrive pagine premonitrici sull’avvenire di sangue che attende il mondo del XX secolo, riceve alcuni rari amici e muore il 30 ottobre 1910 nello stesso anno in cui vengono a mancare due grandi figure per cui Dunant aveva sempre espresso grande ammirazione: Leone Tolstoi e Florence Nightingale.

Borghese e protestante

Henry Dunant nasce a Ginevra nel 1828, da famiglia borghese e protestante. Fin dall’adolescenza è solito utilizzare il proprio tempo libero per portare soccorso e conforto ai poveri, agli ammalati, ai carcerati. Come è stato scritto Henry aveva cominciato a prendersi cura dei “feriti” del tempo di pace già parecchi anni prima di occuparsi dei feriti di guerra. Uscito dal collegio, dopo un tirocinio in banca, come si conviene a uno svizzero ginevrino e protestante, mosso dallo spirito del Risveglio nel 1849 entra a far parte di un gruppo di giovani animati da una fede intensa e appassionata: per Henry il nucleo originario di un movimento internazionale ed ecumenico che viene fondato a Parigi nel 1855 in occasione dell’Esposizione Universale. Nasce così l’Alleanza Universale delle Unioni Cristiane, più nota sotto il nome di YMCA e a tutt’oggi assai diffusa. Ginevra ormai gli sta stretta: si trasferisce in Algeria, conquistata un quarto di secolo prima dalle armi francesi. Studia l’arabo e l’Islam e, contrariamente alla maggior parte dei cristiani del suo tempo ancora fermi ad un atteggiamento negativo e conflittuale nei confronti dell’Islam, matura per questa religione ammirazione e rispetto. Si lega alle popolazioni indigene e un suo generoso progetto di trasformazione in senso moderno di una grande proprietà agricola algerina fallisce per il disinteresse delle istituzioni. Deluso ma non sconfitto, decide allora di recarsi da Napoleone III in persona per perorare la causa dei contadini algerini: il fatto che l’imperatore francese in quel momento si trovi in Italia, in Lombardia, alla testa dell’esercito francese impegnato a fianco del piccolo Regno di Sardegna contro le truppe austriache guidate dal giovane imperatore Francesco Giuseppe non arresta il tenace zelo del giovane svizzero.

L’orrore e la pietà

Quando Dunant raggiunge la Lombardia devastata dalla guerra, le operazioni militari sono a un punto di svolta: le battaglie di Montebello, Palestro, Magenta avevano segnato senz’altro dei punti in favore dell’alleanza franco-piemontese ed incombeva lo scontro decisivo. Questa battaglia, quella di Solferino, la più sanguinosa che l’Europa abbia conosciuto dopo Waterloo, deflagra il 24 giugno 1859 e impegna l’intera armata francese e la più gran parte di quella austriaca. Più di 300.000 uomini e 25.000 cavalli si scontrano per oltre 14 ore, bombardati dal fuoco di oltre 1000 cannoni. Dunant è lì vicino: sta percorrendo quei luoghi in una carrozza privata, irreprensibilmente vestito di bianco per difendersi dal caldo, alla ricerca di un abboccamento con l’imperatore. Ode distintamente il rombo dell’artiglieria, ma non si spaventa; inorridisce, invece, quando nel vicino borgo di Castiglione cominciano ad affluire, sempre più numerose fino a diventare un fiume in piena incontenibile, le vittime di quella vicenda bellica: migliaia di feriti che arrivano dal vicino campo di battaglia e sono ammucchiati in disordine senza la minima assistenza nella Chiesa Maggiore e tutt’attorno. Dunant quel giorno non proseguì oltre perché lo fermarono la pietà e l’orrore. Lenti convogli raggiungevano il paesetto carichi di ogni sofferenza umana. Feriti a migliaia, sfiniti, istupiditi dalle sofferenze: per loro non c’era assistenza, né un ricovero e nemmeno un sorso d’acqua. Migliaia di giovani uomini giacevano sulla nuda terra trapassati dalle pallottole, mutilati dalle schegge, schiacciati dalle ruote dei pezzi d’artiglieria e dei carriaggi, le piaghe infettate, tormentati dal caldo e dalla sete. Le intendenze avevano attrezzature assolutamente inadeguate per curare quei disgraziati che per i loro commilitoni erano diventati soltanto un peso da affidare alla pietà dei civili o alla solidarietà, quando era possibile, dei compagni d’arme.
Il ricordo di quella tragica giornata rimase incancellabile nella memoria del ginevrino e iniziò ad agire nel profondo della sua coscienza. Per due anni si sforzò, senza riuscirci, di tornare ai suoi affari. Nel 1861 si ritira nella sua città natale con l’intenzione di rivelare all’opinione pubblica europea “ l’atroce verità del campo di battaglia “. Alla fine del 1862 pubblica Un ricordo di Solferino che, inviato a politici, uomini di stato, sovrani, intellettuali, suscita un forte sentimento di commozione testimoniato da quanto i fratelli de Goncourt annotano nel loro Diario: “ Si lascia questo libro maledicendo la guerra “. Dunant denuncia soprattutto la vergognosa assenza di soccorsi sanitari sugli scenari bellici e l’Europa democratica rimane profondamente turbata nel leggere le sue pagine. “Il problema sollevato da Dunant divenne per gli stati, se non un rimorso, certo un’inquietudine della coscienza e una questione all’ordine del giorno”. (L.Firpo)

Nel 1863 l’uomo d’affari ginevrino poneva all’ordine del giorno della Società ginevrina di Pubblica Utilità il problema “dell’aggregazione agli eserciti belligeranti di un corpo d’infermieri volontari”: ne derivò una commissione di cinque membri formata da Henry Dofour, capo militare dell’esercito della Confederazione svizzera; i medici Louis Appia e Théodore Maunoir; un giurista, Gustave Moynier e Dunant stesso.
La Commissione dei Cinque, forte del consenso delle famiglie regnanti d’Olanda, Prussia, Assia, Baden e del giovane regno d’Italia, tentò la strada della convocazione a Ginevra di una Conferenza internazionale per dibattere del suo progetto filantropico. Dunant viaggia attraverso l’Europa per raccogliere l’interesse e il consenso di principi e di capi militari, forte di un appello in tre punti: 1) ogni governo si doveva impegnare ad assicurare appoggio e protezione al proprio Comitato nazionale di soccorso ai feriti da crearsi in ciascuno degli stati europei; 2) a riconoscere la neutralità del personale medico militare e di tutti i soccorritori volontari; 3) a favorire durante le ostilità i trasporti del personale e dei materiali sanitari nelle zone di guerra.

Nasce la Croce Rossa Internazionale
Nell’ottobre del 1864 viene finalmente inaugurata l’assise voluta con tanta testarda fermezza dal finanziere ginevrino. Vi partecipano i delegati di 16 Paesi: l’Italia non aderisce ufficialmente, ma invia come uditore il proprio console in Svizzera; l’Inghilterra sceglie di non partecipare. Una defezione importante che non arresta, però, il processo in corso. Dopo quattro giornate di discussioni viene adottata una risoluzione in dieci punti che prevede la costituzione di un Comitato nazionale di soccorso in ognuno dei Paesi aderenti; la predisposizione in tempo di pace di attrezzature, materiali e la formazione di un corpo di infermieri volontari; la neutralizzazione delle ambulanze, degli ospedali e del personale sanitario agli ordini delle autorità militari. Unico per tutti i Paesi il segno distintivo della nuova organizzazione: una croce rossa in campo bianco, ovvero la bandiera svizzera a colori invertiti, oppure la bandiera bianca, tradizionale segno di tregua, fregiata del simbolo cristiano. Era nata la Croce Rossa Internazionale.

Dunant pagò un prezzo personale molto alto perché la sua creatura vedesse la luce. Le fatiche organizzative per trasformare in pratica concreta la sua idea lo portarono a trascurare i propri affari e lo avviarono verso un pesante dissesto finanziario. Nel 1867 la banca ginevrina di cui era amministratore lo dichiarò fallito per oltre un milione di franchi, costringendolo alle dimissioni dalla Commissione dei Cinque di cui era segretario. Quando nel 1873 si celebrarono i primi dieci anni dell’organizzazione il presidente Gustave Moynier si guardò bene dal menzionare il suo nome. Seguirono circa vent’anni di estrema povertà a cui fanno da contrappunto progetti sempre più grandi e talora velleitari sollecitati da una passione umanitaria che sembra divorare il compassato uomo d’affari di una volta. Dunant soffre la fame, dorme nelle sale d’aspetto delle stazioni ferroviarie e sulle panchine dei parchi fino a ridursi nella piccola pensione ‘Paradiso’, a Heiden nel cantone di Appenzell sul lago di Costanza dove dimora per cinque anni per essere poi accolto nella cameretta numero 12 del locale ospizio per anziani. Qui scrive le sue memorie: pagine e pagine tormentate in cui ricordi, digressioni, citazioni, polemiche per le ingiustizie sofferte si mescolano a pagine intense e profetiche sui futuri disastri della guerra in Europa e sulla società militarista e ipocrita che non potrà fare a meno di generarli.

Quando ormai tutti lo credono morto, un giovane giornalista, George Baumberger lo scopre in quell’angolo sperduto d’Europa e racconta al mondo la sua storia, le sue sofferenze, il suo ingiusto destino. Paragonabile a quella che aveva accolto Un ricordo di Solferino una nuova ondata di emozione percorre ora tutto il mondo e “l’avventuriero della carità” torna a occupare il posto che meritava nella coscienza planetaria: quello dovuto a chi, per primo, aveva intuito e tentato, tra scetticismi e boicottaggi di ogni genere, di mettere in pratica l’idea semplice e feconda di neutralizzare su tutti i teatri di guerra i sofferenti e i loro soccorritori.