30 maggio 2009

"Cantieri" di Marisa Cecchetti



di Gianni Quilici

Interessanti questi “Cantieri”, poesie che Marisa Cecchetti (poetessa, scrittrice e critica letteraria con una serie nutrita di libri alle spalle), ha pubblicato un anno fa.

Interessanti in primo luogo perché “Cantieri” raccoglie due sezioni tra loro apparentemente diverse.

Interessanti, perché l'autrice riesce a mescolare poeticamente due sguardi apparentemente distanti: un cantiere edile ed uno affettivo. E riesce a farlo, perché, in ambedue le sezioni, trasmette amore verso gli aspetti più variegati: la terra e le erbe, la luce e i corpi, il lavoro e il tempo.

La novità del libro, la sua originalità nasce forse nell'essere riuscita (Marisa Cecchetti) a fare anche poesia civile, a trasmettere, cioè, il rifiuto verso ciò che distrugge armonia e bellezza.

E' una poesia, questa, che partecipa, almeno mi pare, di quella linea che Pasolini definì “antinovecentista”, perché coglie narrativamente l'attimo in cui essa (la poesia) si rivela e lo rende (questo attimo) poetico. Poesie, in cui mi pare si colga soprattutto la lezione di Umberto Saba, che hanno nell'immediatezza diaristica dell'io nel rapporto con l'altro e col mondo la loro più efficace peculiarità. Scelgo una poesia tra tante.

Mi avevi appena detto
che non mi vedi donna.
Per telefono.
Con voce che chiudeva. Tu sapevi
le mie attese
ed i contorcimenti
stanchi dell'anima.
Friggeva
rovente il ferro
sulla piaga. Ho ascoltato
il trottare stupito del sangue
nel buio senza voce
che mi ha incollato.

Allora ho scelto i jeans, quelli stretti
e una maglietta troppo femminile
ho lavato i capelli
che scappavano tanti sulle spalle:
“Pronto Stefania?
Vengo con te a ballare”.

Mi colpisce nella prima strofa innanzitutto la perentorietà dell'andatura. Ogni verso ha una sua forza e lascia una risonanza, anche quelli apparentemente più prosaici. Esempio: “Per telefono./ Con voce che chiudeva”. Una nettezza di ritmo, che arriva a quei magnifici metaforici versi: “Friggeva/ il ferro/ sulla piaga...” E continua con rara sottigliezza psicologica: “Ho ascoltato/ il trottare stupito del sangue/ nel buio senza voce/ che mi ha incollato”, in cui si determina una sorta di schizofrenia tra il tumulto del sangue e la stupefazione paralizzata dell'io che si ascolta.

Nella seconda strofa c'è uno scatto e una corsa: l'orgoglio d'un io ferito nell'intimo della sua specie, che “si fa donna”, diventa movimento, civetteria, determinazione che il dialogo finale, domanda-risposta, bene esprime.

da "Arcipelago" -giornale dell'Arci di Lucca

Marisa Cecchetti. Cantieri. Edizioni del Cerro. Pag. 90. Euro 10,00.