25 febbraio 2009

"Capannori anthology" a cura di Lorella Sartini e Luciano Luciani























Lammari. Foto di Gianni Quilici

di Lorella Sartini e Luciano Luciani

Questi nostri anni, così incerti, così difficili hanno ancora bisogno di storie: anzi, le esigono, in quantità sempre maggiore e di qualità sempre migliore. Per continuare a chiarire agli altri, ma soprattutto a noi stessi, chi siamo e come siamo diventati, da dove veniamo e dove stiamo andando. Le storie sono importanti, importantissime:
“La distanza più breve tra un essere umano e la verità è una storia… Una moneta d’oro perduta si ritrova grazie a una candela che vale pochi soldi: la verità più profonda si trova grazie a una semplice storia”
(B. Ferrero, Tutte storie).

E, ci avete mai pensato?, un territorio è proprio come un buon racconto: ti narra una storia, ti fa conoscere dei personaggi. Se questo territorio, poi, è quello, assai vasto, di un Comune a fortissima vocazione contadina, che, però, come tutto il resto del nostro Paese, negli ultimi trenta anni ha conosciuto profonde e radicali trasformazioni nei suoi assetti produttivi, economici, sociali, culturali, allora le trame si infittiscono, si complicano e i personaggi si moltiplicano. Al punto che per raccontare Capannori è stato necessario ricorrere a una corposa antologia: quattordici racconti per quindici scrittori, originari di Capannori, che in questi luoghi hanno vissuto la loro infanzia, giovinezza e prime esperienze, oppure che tra la Piana e le colline hanno conosciuto vicende rimaste significative nella loro esistenza. Non fa meraviglia, quindi, se il fil rouge che percorre le pagine di questa antologia si ritrova proprio in un forte senso di appartenenza alla propria terra di origine, alle proprie radici. Radici profonde, radici fatte di zolle, conficcate nella terra del Comune rurale più grande d’Europa. Radici ancestrali, un attaccamento perfino un po’ morboso al luogo e alla casa natali (G. Parenti, Vertigine Marcheschi).

Un legame talora ambivalente, di amore e odio, come nel caso di Camera Iperbarica di U. Salvoni: “Capannori sembrava un fungo atomico sulla carta geografica attaccata all’aula delle elementari…” dice il protagonista che soffre del senso di inferiorità di vivere nel contado di Lucca, ma, allo stesso tempo, è orgoglioso della sua terra e, anche se si trasferirà all’estero per lavoro, ha come obiettivo tornare a vivere nella soffitta di corte Baroni, a Lammari.

Per la protagonista di Capannori per me di G. De Luca, la propria terra d’origine è solo ‘una macchia in mezzo ad una carta geografica,…’, ma lì sempre ritorna con senso di nostalgia anche dopo aver girato mezzo mondo. Un attaccamento forte, imprescindibile, che in questo racconto diventa una vera e propria dichiarazione d’amore.

E’ come se i campi, le colline coltivate a olivi, i fiori, il sole di Capannori esercitassero il potere di un benefico sortilegio. Un luogo quasi magico dove la vita è ancora a misura d’uomo e nel Volo di L. Di Ponte arriva addirittura ad avere un potere demiurgico.

Capannori è raccontata attraverso i suoi simbolici luoghi fisici: le ville storiche, le Pizzorne, i Monti Pisani, i torrenti e i laghetti (si legga in proposito Una pesca fortunata di Romano Morotti), il Padule e i luoghi del cuore; le corti dove si allevano le mucche, si ripone il fieno, si tirano quattro calci al pallone e i barini di paese, come Il Mattaccio, il circolino di Tassignano, sempre in bilico tra la realtà quotidiana delle interminabili partite a scopone o a tressette degli avventori di sempre e le aspirazioni, un po’ velleitarie, dei più giovani a trasformarlo in un centro sociale sul modello delle più avanzate esperienze metropolitane (M. Parenti, Il Mattaccio. Approdi e naufragi)

Sospesa tra tradizione e modernità, Capannori, con raccolta mestizia e un filo di speranza, ora scopre nel proprio seno i figli della globalizzazione e dei rapporti inuguali tra il Nord e il Sud, l’ Occidente e l’ Oriente (M. Cecchetti, Al castello), ora fa i conti con i i frutti avvelenati dell’avvento improvviso di costumi e stili di vita fin troppo disinvolti e disinibiti (M. Antonetti, Pam…6 morto).

E Capannori significa anche Capannoresi, donne e uomini, industriosi e pazienti, coraggiosi e intraprendenti. Quelli di ‘appena ieri’, nelle loro umanissime grandezze, passioni e miserie, con affettuosa ironia che sa farsi condivisione e ‘simpatia piena d’amore’, ce li raccontano D. Toschi, Marliesi di Piaggiola, S. Bartolini, Gli ultimi Capitani e G. Dovichi, Binda.

Capannori, poi, è anche terra di luoghi densi di mistero: talune lande ancora desolate, certe ville appartate e impenetrabili dietro i loro muri di cinta, capannoni industriali in disuso e abbandonati da anni, piccoli cimiteri di campagna circondati da un’ aura oscura… Ghiotti materiali narrativi che non potevano sfuggire a un paio dei nostri Scrittori (R. Giorgi Consorti, Per gioco e per amore; G. Gemignani Marchi, Vietato l’ingresso ai fantasmi: anzi Scrittrici, vorrà forse dire qualcosa?) che rielaborano questi dati alla luce della recente, diffusa sensibilità per la narrativa di mistero e d’indagine.

Può mancarti, Capannori? Quali le ragioni del fascino sottile esercitato “da questa macchia in mezzo al nulla delle carte geografiche”? Tocca ai due Autori più giovani ospitati in questa raccolta (M. Karakri e M. Poccioni, I cieli di Tofori Dialogo capannorese) rispondere: “niente è meglio del sano ozio nella campagna toforese”, e in fondo, “casa” è dove ti senti davvero bene!

Capannori anthology, a cura di Lorella Sartini e Luciano Luciani, editore Giulio Perrone.