12 novembre 2008

"LA VITA FA RIMA CON LA MORTE" di Amos Oz

recensione di Gianni Quilici

L'inizio del romanzo è questo:
“Tali sono le questioni fondamentali: perché scrivi. Perché nella fattispecie scrivi proprio in quel modo. Ti interessa influenzare i tuoi lettori e in caso affermativo – in quale direzione cerchi di influenzarlo. Qual è il compito delle tue storie. Cancelli e correggi continuamente o scrivi direttamente per ispirazione. Com’è essere uno scrittore famoso, che effetto fa alla tua famiglia. Perché descrivi quasi esclusivamente gli aspetti negativi. Che ne pensi di altri scrittori, chi ti ha influenzato e chi non sopporti. Fra parentesi, come definisci te stesso?”

E' il romanzo del rapporto dello scrittore con se stesso, con la propria immaginazione. E' lo scrittore che vivendo non si dimentica che scrive. E' lo scrittore che vive come se stesse scrivendo, mescolando lo sguardo, le impressioni con una storia, con più storie che si intersecano, che si fermano, che mutano.

Siamo a Tel Aviv: è estate. E' una sera calda e umida.
Alla vecchia Casa della Cultura sta per iniziare la presentazione del libro dello Scrittore.
Lo scrittore si trova, lì vicino, in un piccolo caffè. Qui osserva: una cameriera con la minigonna e il seno alto, un paio di belle gambe piene, viso carino, luminoso con le sopracciglia che si toccano e sotto la gonna il contorno delle mutande. .. Mentre aspetta l'omelette lo scrittore prova a tratteggiare il primo amore di questa cameriera....osserva due tipi loschi... una vecchia signora con le gambe gonfie...
Lo Scrittore compare in sala con ritardo. Seduto appare distaccato, con un camiciotto leggero,dei pantaloni kaki e un paio di sandali. Assorto osserva il suo pubblico, attento, sudato, quasi volesse borseggiarlo. E tra il pubblico la ragazza esile, intimidita, bella ma non attraente, il giovane poeta depresso, il responsabile della Casa della Cultura, l’esperto di letteratura, l’appassionata di letteratura, l’anziano insegnante, la donna curiosa e non colta, l’impiegatuccio occhialuto e spigoloso e sua madre, l’accordatore di pianoforti.

Su questi personaggi imbastirà una storia passeggiando fino a notte fonda per le vie.
Funziona?
No, non funziona. C'è dentro troppo tavolino, troppa presenza dello scrittore che elabora, inventa. Per funzionare forse avrebbe dovuto perdersi e perdere (di più) la storia, divenire flusso più incontrollato tra presente-immaginazione-ricordo. C'è invece troppo ordine, troppa cronologia, troppo controllo.

Amos Oz. La vita fa rima con la morte. Trad. Elena Loewenthal. Pag. 106. Feltrinelli, 2008. € 10.