31 maggio 2005

Povertà e miseria di Majid Rahnema - Ediz. Einaudi

da Aldo Zanchetta

Premessa

“Coloro che hanno causato i problemi non sono le persone più adatte a risolverli” (Albert Einstein)

Alla vigilia di una nuova grande campagna mondiale contro la povertà legata agli 8 obbiettivi del Millennio fatti propri dalle Nazioni Unite (”No excuse 2015”) - fra questi prioritariamente quello della lotta alla povertà che in Italia sarà lanciato con la Marcia di Assisi dell’ 11 settembre prossimo con lo slogan “stop alla povertà”- una riflessione approfondita sul tema mi sembra del tutto importante.
Non possiamo infatti non interrogarci sul fallimento dei vari megapiani lanciati fino ad oggi a livello mondiale che hanno visto la povertà accrescersi e trasformarsi sempre più in miseria. Ricordate l’ affermazione con cui si chiuse verso gli anni 70 un imponente congresso della FAO a Roma: “entro 10 anni non ci saranno più nel mondo bambini che vanno a letto con la fame” ? Il messaggio attualizzato della stessa FAO all’ inizio del nuovo millennio ci ha detto che le persone che nel mondo soffrono la fame sono “ancora” 830 milioni (e assai, assai di più quelle in povertà) e che l’ unico obbiettivo realistico è il loro dimezzamento entro il 2015, obbiettivo legato però al verificarsi di 3 condizioni che invece non si stanno puntualmente realizzando: se non ci saranno guerre importanti, se non ci saranno grandi disastri naturali, se le nazioni ricche riporteranno allo 0,7% del loro PIL l’ aiuto allo sviluppo.

A questo punto una seria riflessione è consigliabile prima di gettare altre energie nella fornace delle disillusioni. E’ ovvio che questi 8 “obbiettivi del millennio” sono condivisibili e da perseguire. Ma farlo ripetendo politiche già fallimentari o semplicemente riverniciandole e che hanno ottenuto come principale obbiettivo quello di aumentare la ricchezza di una sempre più ristretta minoranza (grosso modo pochi anni fa l’ 80% della ricchezza prodotta nel mondo era appannaggio del 20% della porzione più ricca mentre oggi sempre l’ 80% si avvia ad essere posseduto dal 15%, cioè da un numero ancor più ridotto) potrebbe essere un grave segno di irresponsabilità. Forse non sarebbe male legare il lancio di nuove campagne ad una seria preventiva riflessione che tenga conto delle esperienze fatte in questi anni e soprattutto ascoltare il parere dei diretti interessati, i “poveri”. In occasione del recente “II Forum della solidarietà lucchese nel mondo” la dichiarazione finale, costruita assieme ai circa 30 rappresentanti dei partners coi quali le varie realtà lucchesi lavorano nelle ‘periferie del mondo’, termina così: “Facciamo nostra l’ esortazione di Jean Leonard Tuadì che ci invita, prima di fare cooperazione con i popoli del sud del mondo, ad imparare a camminare con loro.” Mi pare una evidenza fino ad oggi dimenticata e malamente supplita dall’ accordo di presunti rappresentanti cooptati allo scopo e non riconosciuti dalle proprie basi (vedasi la “Dichiarazione finale del II Vertice dei popoli indigeni americani” riuniti a Quito nel luglio 2004).

Il contenuto del libro

Ad oltre 2 anni dalla prima edizione francese il prossimo 31 maggio uscirà nelle librerie edita da Einaudi la traduzione italiana di un libro che certamente farà molto discutere e che a mio avviso ogni persona impegnata nel mondo della solidarietà internazionale e della lotta alla povertà potrebbe utilmente leggere, quale che sia il suo accordo o disaccordo finale con le tesi dell’ autore.
Iniziamo la presentazione traducendo dal testo francese, in attesa di quello italiano ormai imminente, una lunga serie di interrogativi iniziali ai quali l’ autore cerca di rispondere lungo le 322 pagine di tale edizione. (“Quand la misere chasse la pauvreté – Fayard / Actes Sud – 2003)

“Cosa è in effetti la povertà? Una costruzione dello spirito, un concetto, un vocabolo? Un modo di vita, la manifestazione di una mancanza, una forma di sofferenza? Si contrappone alla miseria o ne è il sinonimo? E’ una soglia arbitraria stabilita dagli esperti per distinguere i poveri dai non poveri o ancora una delle frontiere che separano i comuni mortali dai santi o dai ‘poveri di spirito’ che ne hanno fatto una scelta? E quanto al personaggio chiamato arbitrariamente il povero, è esso questo ‘caimano’ ‘fatto con la merda del diavolo’ (Roman de Renart) o il felice sfortunato che trova nella morte l’ unica ricompensa: essere invitato alla tavola di Dio? Che sia l’ uno o l’ atro egli deve essere abbandonato alla propria sorte oppure soccorso? E’ veramente possibile aiutarlo, e come, in un mondo dove l’ aiuto si trasforma spesso in minaccia e non serve troppo spesso che al suo promotore? Infine come spiegare l’ aumento del numero di uomini e donne segnati dalla miseria e dall’ aggravamento della propria situazione proprio quando non cessano di moltiplicarsi i grandi progetti di aiuto ai poveri e allorché l’ economia dispone di tutti i mezzi necessari per assicurare almeno la loro sopravvivenza?”

Il libro nelle parole dell’ autore è “il frutto di una conversazione ad alta voce….non pretende essere il lavoro di uno ‘specialista’ della povertà. Non è il prodotto di alcuna disciplina scientifica. E’ il risultato di uno sguardo personale e di una interrogazione libera e aperta su un mondo complesso, un mondo dove vivono queste persone che, le une e le altre noi chiamiamo a nostro modo, i poveri.” E’ piuttosto il tentativo di “condividere col lettore le prospettive e i punti di vista costruiti nel corso di una vita che mi hanno aiutato a comprendere i silenzi e a decifrare i linguaggi fino ad allora a me sconosciuti.”

Questa la genesi del libro di Majid Rahnema dal titolo italiano malamente “Povertà e miseria” malamente tradotto non rendendo la pregnanza del titolo francese “Quand la misère chasse la pauvreté”. In risposta alle citate domande la tesi centrale del libro, dottamente costruita e documentata, è la seguente: “una economia il cui principale obbiettivo è quello di trasformare la rarità in abbondanza non tarda a divenire essa stessa la principale produttrice di bisogni che generano nuove forme di rarità e, in conseguenza, di modernizzare la miseria.”

Tesi non nuova, già sostenuta da Ivan Illich nei lontani anni ‘70 nel suo libro ‘La convivialità” e splendidamente condensata nella sua conferenza del 1980 a Yokohama “Le paci dei popoli” e riportata nel libro ‘Nello specchio del passato’ (entrambi i libri riediti recentemente e contemporaneamente in Italia da due editori ora in lite giudiziaria fra loro circa i diritti col rischio che essi possano essere fatti scomparire dalle librerie per provvedimento giudiziario dalla vertenza in atto). Di Illich infatti l’ autore si dichiara amico e debitore e il quale “fino alla sua morte che ha coinciso con il termine della scrittura di questo libro fu per me un amico nel senso più esigente della parola e compagno di strada instancabile del quale nulla poteva alterare lo sguardo penetrante che portava sull’ opacità di questo mondo. Molte delle prospettive che ho potuto scoprire nel corso del mio pellegrinaggio in terre di povertà mi sarebbero passate inavvertite senza il suo aiuto fraterno.”

Tesi non nuova, ripeto, ma alla quale Rahnema contribuisce sostanzialmente con una analisi penetrante e riccamente documentata ed alla quale è dedicata la parte centrale del libro, preceduta da una prima parte destinata alla descrizione di come è cambiata nella storia, dall’ età della pietra ai giorni nostri, la percezione della povertà. Infatti “il rispetto del passato è indispensabile alla reinvenzione costante del nostro presente, sia che l’ eredità ci provenga dai tempi antichi o dall’ età dei lumi…..le società del dono o quelle che hanno visto nascere le povertà conviviali ci insegnano tanto quanto quelle che hanno prodotto la rivoluzione industriale, è dunque essenziale per noi il portare uno sguardo ‘archeologico’ su tutte le acquisizioni di questa eredità comune al fine di utilizzare tutto ciò che contengono di arricchente per il nostro presente.”

Nella terza e ultima parte, dopo l’ esame di una casistica di situazioni attuali nelle quali i ‘poveri’ del mondo stanno affrontando dal basso una soluzione realistica e ‘conviviale’ dei propri problemi (Roraima in Brasile, Anand Nagar in India, Dahar in Senegal, Oyo in Nigeria, gli ayllus del Perù etc ma senza dimenticare riferimenti ai maya del Chiapas, i sem terra del Brasile e altre esperienze oggi rilevanti), l’ autore giunge infine alla “riformulazione di certi interrogativi…..volta ad una migliore comprensione della sorte dei ‘poveri’ dell’ epoca moderna e all’ esame approfondito delle soluzioni proposte in un contesto diverso. Se questo libro tenta di effettuare un bilancio dei grandi programmi di lotta alla povertà, il suo obbiettivo è innanzi tutto quello di permettere al lettore di porre la problematica della povertà nel contesto generale dei grandi squilibri nati da un sistema produttivistico sempre più dissociato dall’ ambito sociale”.

Impossibile ripercorrere il lungo e documentato cammino intellettuale ricostruito nel libro dall’ autore, oggi anche caro amico, ma concludo queste note proponendo le righe finali:
“Nelle mie frequenti conversazioni con amici resi sensibili all’ avanzare della miseria e alla degradazione continua della condizione dei poveri, mi si chiede spesso se io sono pessimista o ottimista sull’ avvenire. La mia risposta è sempre la stessa: nessuna delle due posizioni mi sembra ragionevole.
E’ certo che le tendenze attuali rafforzano la tesi di una polarizzazione mondializzata ancor più spint a delle società e delle violenze strutturali che ne sono le conseguenze inevitabili. Noi potremmo quindi andare verso una catastrofe generalizzata e, probabilmente, verso uno sprofondamento violento del sistema che rischierebbe di far scivolare la maggioranza degli uomini e delle donne in una povertà subita o direttamente nella miseria.
In alternativa è anche possibile immaginare che un pullulare di azioni individuali o collettive orientate verso dei modi di vita semplici e verso una povertà conviviale favorisca e rinforzi percorsi opposti. Noi abbiamo visto che le donne e gli uomini che, qua e là, hanno fatto localmente queste scelte sembrano ‘vincenti’ su molti piani: la loro vita più ricca ha loro consentito di sfidare la miseria che li circonda e il loro esempio apporta l’ aiuto più prezioso che vi sia per il loro prossimo.

Aldo Zanchetta

27.05.05


(*) Antico ministro dell’ istruzione del suo paese, l’ Iran, ne è stato successivamente rappresentante all’ ONU per poi divenire membro del Consiglio esecutivo dell’ UNESCO e infine rappresentante residente delle Nazioni Unite in Mali. Da 20 anni si è consacrato ai problemi della povertà. E’ autore con Victoria Bawtree del libro “The Post-Development Reader”, di numerosi studi ed articoli pubblicati in riviste di vari paesi.


Nota : Sul sito della Scuola per la Pace della Provincia di Lucca è reperibile il testo della Lezione di apertura dell’ anno 2004-2005 della Scuola stessa, testo che può essere inviato in forma cartacea su richiesta (www.provincia.lucca.it/scuolapace).

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